Cassazione, non punibile la mera connivenza sulla coltivazione di marijuana

Redazione 20/06/12

La Corte di Cassazione, terza sezione penale, con la sentenza n. 23788 del 15 giugno 2012, ha annullato con rinvio la pronuncia di colpevolezza della Corte d’appello di Palermo, che condannava un ragazzo per la detenzione illecita di cinque piante di marijuana all’interno della propria abitazione, ribaltando, in tal modo, il giudizio del giudice di merito siciliano.

I giudici di Palazzo Cavour non hanno ritenuto logico che l’attribuzione delle piantine in capo a uno dei componenti della famiglia, dovesse comportare l’automatica estensione dell’incriminazione a tutti gli altri soggetti, sul presupposto che in casa abitassero altre persone e che non sussistesse la prova della riconducibilità al ragazzo della droga ritrovata ritenuta “gravemente indiziante” nella sentenza cassata.

Su tale assunto, la Suprema Corte osserva come vi sia differenza tra connivenza, non punibile, e concorso in reato, che, invece, è punibile, sottolineando, altresì: “in tema di detenzione di sostanze stupefacenti, la distinzione tra connivenza non punibile e concorso nel reato va individuata nel fatto che, mentre la prima postula che l’agente mantenga un comportamento meramente passivo, inidoneo ad apportare alcun contributo alla realizzazione del reato, nel concorso di persona punibile è richiesto, invece, un contributo partecipativo – morale o materiale – alla condotta criminosa altrui, caratterizzato, sotto il profilo psicologico dalla coscienza e volontà di arrecare un contributo concorsuale alla realizzazione dell’evento illecito”.

In poche parole, il fatto che un soggetto coltivi piante di stupefacente in un appartamento abitato da più persone, non comporta l’automatico concorso dei coinquilini, nel caso in cui non sia accertata “l’esistenza di un contributo concorsuale che deve essere, quindi, specificamente indicato in motivazione“.

A ciò si aggiunga che “mancando qualsiasi specificazione sulle ragioni del concorso, si deve ritenere apodittica la conclusione circa la mancanza di interesse dell’imputato a far valere il dato obiettivo della presenza di altre persone nello stabile“.

Inoltre – aggiunge la Corte – “Quanto al rinvenimento dei due pezzetti di hashish la sentenza non ha fornito in realtà risposta sui rilievi di carattere fattuale finalizzati ad escludere che il possesso di essi dovesse necessariamente essere attribuito al ricorrente ed anche sul nesso ravvisabile con la coltivazione delle piante.”

La sentenza della Corte d’appello siciliana va, dunque, annullata con rinvio, in attesa di una nuova valutazione circa la responsabilità del giovane.

Qui il testo integrale della sentenza n. 23788/2012 della Cassazione

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