I bassi numeri dell’approvazione rispecchiano la decisione del MoVimento 5 Stelle di non esprimersi sul disegno di legge, una decisione condivisa anche da Sinistra, Ecologia e Libertà.
Risparmi e lotta alla corruzione
Tra gli obiettivi del nuovo Codice, figurano la riduzione significativa delle stazioni appaltanti e l’introduzione di nuovi tetti di spesa a cui gli enti dovranno conformarsi.
Nello specifico, viene sancito il principio secondo cui i titolari di concessioni dovranno mettere sul mercato tutti gli interventi svolti nell’ambito della concessione che è loro propria. Una bella virata rispetto allo stato attuale, che prevede di appaltare almeno il 60 percento del valore complessivo. In aggiunta, le gare andranno completate a partire da lavori per 150mila euro.
Aumentano ancora le prerogative dell’Anac, l’autorità anticorruzione guidata dall’ex pm Raffaele Cantone, che si arroga il compito di indirizzare il mercato emanando circolari, principi di riferimenti e bandi-modello.
Frenata sugli appalti integrati, cioè l’abitudine di affidare lavoro e insieme anche la relativa progettazione. In questo modo, si punta a tutelare il lavoro degli studi professionali. Arrivano, da ultimo, costi standard sui lavoro da svolgere e un nuovo limite al massimo ribasso.
Nasce, con la riforma, l’albo nazionale dei commissari di gara, il cui scopo sarà quello di individuare responsabili proprio nelle zone d’ombra tra pubblico e privato.
Il Codice approvato in Senato attende ora il decisivo passaggio alla Camera. La sua formulazione riprende tre direttive europee in materia di appalti e concessioni e richiederà, una volta che il Codice sarà legge, la presentazione di un decreto delegato.
Vai al testo presentato in Senato del nuovo Codice Appalti
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