No all’espropriazione della prima casa

La prima casa non si tocca:  lo stabiliscono sia la Corte di Giustizia Ue sia la nostra Corte di Cassazione con due distinte sentenze.

Con la sentenza resa nella causa C-34/13, la Terza Sezione della Corte di Giustizia Ue (http://curia.europa.eu/juris/document/document.jsf?text=&docid=157486&pageIndex=0&doclang=IT&mode=lst&dir=&occ=first&part=1&cid=374522)  si è pronunciata, il 10 settembre 2014, sull’interpretazione delle direttive 93/13/CEE (http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=CELEX:31993L0013:it:HTML), concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, e 2005/29/CE (http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:L:2005:149:0022:0039:it:PDF), relativa alle pratiche commerciali sleali delle imprese nei confronti dei consumatori nel mercato interno.

Nel febbraio 2009, la sig.ra Kušionová concludeva con la SMART Capital un contratto di credito al consumo per l’importo di EUR 10.000 e a garanzia del credito veniva costituito un diritto reale di garanza su un bene immobile, la casa di famiglia in cui la ricorrente risiede: la controversia ha riguardato le modalità di realizzazione del diritto reale costituito a garanza del contratto di prestito ipotecario e la legittimità delle clausole inserite in tale contratto.

La sig.ra Kušionová presentava ricorso di annullamento del contratto di credito e del contratto costitutivo della garanzia facendo valere il carattere abusivo delle clausole contrattuali stipulate con la SMART Capital.

Il giudice di primo grado annullava in parte il contratto di credito, dichiarando che talune clausole contrattuali erano abusive. Il contratto costitutivo della garanzia veniva, invece, integralmente annullato. Le due parti proponevano appello.

Il giudice del rinvio, al fine di accertare  il carattere abusivo di una delle clausole del contratto costitutivo della garanzia, ha ritenuto che la soluzione del procedimento dipendesse dall’interpretazione del diritto dell’Unione.

Per la Corte di Giustizia il sistema di tutela posto in atto dalla direttiva 93/13 è fondato sull’idea che il consumatore si trovi in una situazione di inferiorità rispetto al professionista, per quanto riguarda sia il potere nelle trattative sia il grado di informazione, situazione che lo induce ad aderire alle condizioni predisposte dal professionista senza poter incidere sul contenuto delle stesse.

In mancanza di armonizzazione dei meccanismi nazionali di esecuzione forzata nel diritto dell’Unione, spetta all’ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro stabilire tali norme, in virtù del principio dell’autonomia procedurale, a condizione però che esse non siano meno favorevoli delle norme che disciplinano situazioni simili sottoposte al diritto interno (principio di equivalenza) e che non rendano praticamente impossibile o eccessivamente arduo l’esercizio dei diritti conferiti dal diritto dell’Unione (principio di effettività).

E proprio in merito al principio di effettività, si deve rammentare che, per giurisprudenza costante della Corte, ciascun caso in cui si pone la questione se una disposizione processuale nazionale renda impossibile o eccessivamente difficile l’applicazione del diritto dell’Unione dev’essere esaminato tenendo conto del ruolo di detta disposizione nell’insieme del procedimento, dello svolgimento e delle peculiarità dello stesso, dinanzi ai vari organi giurisdizionali nazionali.

Al fine di preservare i diritti attribuiti ai consumatori dalla direttiva 93/13, gli Stati membri sono tenuti, in particolare, in forza dell’articolo 7, paragrafo 1, di tale direttiva, ad adottare meccanismi di tutela tali da far cessare l’utilizzazione delle clausole qualificate come abusive. Ciò è del resto confermato dal ventiquattresimo considerando di tale direttiva che precisa che le autorità giudiziarie e gli organi amministrativi devono disporre di mezzi adeguati ed efficaci rispetto a tale obiettivo.

Nel caso di specie, la perdita dell’abitazione familiare non è solamente idonea a violare gravemente il diritto dei consumatori, ma pone i familiari del consumatore interessato in una situazione particolarmente delicata.

A tale proposito, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha considerato, da un lato, che la perdita dell’abitazione costituisce una delle più gravi violazioni al diritto al rispetto del domicilio e, dall’altro, che qualsiasi persona che rischi di esserne vittima deve, in linea di principio, poter far esaminare la proporzionalità di tale misura.

Nel diritto dell’Unione, il diritto all’abitazione è un diritto fondamentale garantito dall’articolo 7 della Carta, che il giudice del rinvio deve prendere in considerazione nell’attuazione della direttiva 93/13.

Per quanto riguarda le conseguenze che comporta l’espulsione del consumatore e della famiglia dall’abitazione che costituisce la loro residenza principale, la Corte ha già sottolineato l’importanza, per il giudice competente, di emanare provvedimenti provvisori atti a sospendere un procedimento illegittimo di esecuzione ipotecaria o a bloccarlo, allorché la concessione di tali provvedimenti risulta necessaria per garantire l’effettività della tutela voluta dalla direttiva 93/13 .

Nella fattispecie, la possibilità per il giudice nazionale competente di adottare un qualsiasi provvedimento provvisorio sembra costituire uno strumento adeguato ed efficace per far cessare l’applicazione di clausole abusive, il che deve essere verificato dal giudice del rinvio.

In pratica, la Corte di Giustizia autorizza i giudici nazionali a bloccare, in via provvisoria, la finanziaria o la banca che mette all’asta la casa familiare del consumatore se si accorge che nel contratto di credito al consumo sono presenti una o più clausole abusive che pongono oneri particolarmente vincolanti a carico del consumatore e ad esclusivo vantaggio dell’azienda, clausole notoriamente vietate dalle direttive dell’UE.

Una sentenza, dunque, che estende il blocco del pignoramento dell’abitazione principale – già previsto dal  c.d. decreto «del fare» nei soli confronti dello Stato e del suo “braccio esecutivo” Equitalia – anche nei confronti dei privati, soprattutto banche e finanziarie.

Ma le novità non arrivano solo da lontano!

Infatti, a soli due giorni di distanza, anche la Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza del 12 settembre 2014, n.19270, ha contribuito ad ampliare la tutela del diritto alla prima casa stabilendone l’impignorabilità da parte di Equitalia, con estensione della validità della disposizione contenuta nel decreto «del fare» anche per i procedimenti in corso.

L’articolo 52 del decreto «del fare» ha modificato la formulazione dell’articolo 76 del dPR 602/73 (“espropriazione immobiliare”), stabilendo che “l’agente della riscossione non dà corso all’espropriazione se l’unico immobile di proprietà del debitore, con esclusione delle abitazioni di lusso, (…) è adibito ad uso abitativo e lo stesso vi risiede anagraficamente”.

Tale norma è entrata in vigore il 22 giugno 2013.

Contrariamente alle conclusioni contenute nella nota del Ministero dell’Economia e delle Finanze – per il quale tale norma non ha effetto retroattivo e, pertanto, tutti i pignoramenti effettuati prima del 22 giugno 2013 dovevano considerarsi validi ed efficaci – la Suprema Corte ha esteso la non pignorabilità a tutti gli immobili soggetti ai procedimenti di Equitalia ancora in corso affermando che “dal momento che la norma disciplina il processo esecutivo esattoriale immobiliare, e non introduce un’ipotesi di impignorabilità sopravvenuta del suo oggetto, la mancanza di una disposizione transitoria comporta che debba essere applicato il principio per il quale, nel caso di successione di leggi processuali nel tempo, ove il legislatore non abbia diversamente disposto, in ossequio alla regola generale di cui all’art. 11 delle preleggi, la nuova norma disciplina non solo i processi iniziati successivamente alla sua entrata in vigore, ma anche i singoli atti ad essa successivamente compiuti, di processi iniziati prima della sua entrata in vigore, quand’anche la nuova disciplina sia più rigorosa per le parti rispetto a quella vigente all’epoca di introduzione del giudizio (così Cass. n. 3688/11)”.

Pertanto, “in tema di espropriazione immobiliare esattoriale, qualora sia stato eseguito il pignoramento immobiliare mediante la trascrizione e la notificazione dell’avviso di vendita ai sensi dell’art. 76 del D.P.R. n. 602 del 29 settembre 1973, ed il processo sia ancora pendente alla data del 21 agosto 2013 (di entrata in vigore dell’art. 52, comma 1, lett. g), del d.l. 21 giugno 2013 n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013 n. 98, ai sensi dell’art. 86 del decreto legge n. 69 del 2013, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 194 Suppl. Ord. Del 20 agosto 2013), l’azione esecutiva non può più proseguire e la trascrizione del pignoramento va cancellata, su ordine del giudice dell’esecuzione o per iniziativa dell’agente della riscossione, se l’espropriazione ha ad oggetto l’unico immobile di proprietà de debitore, che non sia bene di lusso e sia destinato ad abitazione del debitore, il quale vi abbia la propria residenza anagrafica”.

Al riguardo, osservano i Giudici della Suprema Corte, va richiamato il principio per il quale, “qualora siano state proposte opposizioni esecutive, l’estinzione del processo esecutivo comporta la cessazione della materia del contendere per sopravvenuto difetto di interesse a proseguire il processo, rispetto alle opposizioni agli atti esecutivi ed alle opposizioni all’esecuzione che riguardano la pignorabilità dei beni. Il principio, espresso in riferimento all’estinzione tipica, ben può essere esteso all’estinzione c.d. atipica che si viene a determinare ogniqualvolta il processo esecutivo non possa proseguire per difetto di condizioni dell’azione di presupposti processuali (Cass.n.1353/2012)” .

 

Di conseguenza, in caso di sopravvenuta improcedibilità dell’azione esecutiva avente ad oggetto l’unico immobile di proprietà del debitore da parte dell’agente della riscossione ai sensi dell’art. 76 del D.P.R. n. 602 del 29 settembre 1973 come novellato dall’art.52, comma 1, lett.g), del d.l. 21 giugno 2013 n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013 n. 98, l’improcedibilità del processo esecutivo comporta la cessazione della materia del contendere sull’opposizione all’esecuzione concernente la pignorabilità del bene”.

Giuliana Gianna

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento