Rivalsa dell’azienda sanitaria pubblica sul medico: spetta alla giurisdizione ordinaria

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Contro chi deve rivolgersi la doglianza di una persona rimasta lesa a causa di un errore medico? Contro la struttura ospedaliera oppure contro il chirurgo o il sanitario responsabile della condotta attiva od omissiva illecita?

In verità, il danneggiato può avanzare le proprie pretese risarcitorie nei confronti di entrambi i soggetti. Più precisamente, se il fatto è accaduto dopo l’entrata in vigore della legge 24 del 1 aprile 2017 (cosiddetta legge “Gelli-Bianco” sulla sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie), egli potrà agire a titolo di responsabilità contrattuale nei confronti dell’azienda sanitaria o della unità sanitaria locale  competente e a titolo di responsabilità extracontrattuale nei confronti del singolo operatore (articolo 7 della legge 24/2017).

La differenza si gioca soprattutto sul piano dell’onus probandi e della prescrizione. Nel caso di azione contro “l’ospedale”, per intenderci, opera l’inversione dell’onere della prova prevista dagli articoli 1218 e 1228 del codice civile (è la struttura sanitaria a dover dimostrare la propria carenza di colpa) e la prescrizione è decennale. Nel caso, invece, di azione contro il singolo medico, sarà il paziente a dover dimostrare la colpa del sanitario e la prescrizione del diritto sarà pari a cinque anni.

Detto questo, dobbiamo ora approfondire un tema importante che riguarda la possibilità, per la struttura pubblica o privata chiamata in causa, di rivalersi (in via di regresso) nei confronti del medico responsabile laddove quest’ultimo non sia stato evocato in giudizio dal danneggiato.  Ciò accadrà quando la vittima preferisce “prendersela” solo con il nosocomio presso il quale è stata ricoverata o assistita  o dal quale ha ricevuto le “cure” rivelatesi poi sbagliate o addirittura letali.

Ebbene, secondo l’articolo 9 della legge succitata, le aziende sanitarie possono rivalersi nei confronti del medico “solo in caso di dolo e colpa grave”. Vi è una ulteriore garanzia a beneficio del dottore “interessato”. Se costui non è stato parte del processo o della procedura stragiudiziale di risarcimento del danno, l’azione di rivalsa può essere esercitata solo a risarcimento avvenuto e, soprattutto, non oltre un anno dall’eseguita liquidazione del risarcimento da parte dell’azienda ospedaliera.

Il problema è un po’ più complesso per le strutture sanitarie pubbliche. Infatti, in tal caso, in base all’articolo 9, comma 5 della legge 24/17, l’azione di responsabilità amministrativa per dolo o colpa grave è esercitata dal pubblico ministero presso la Corte dei conti. E proprio qui può aprirsi una questione di non secondaria importanza: qual è il giudice competente a decidere sulla azione di manleva proposta dalla ASL di turno nei confronti del proprio medico asserito responsabile? È forse il Tribunale davanti al quale il paziente danneggiato ha convenuto la struttura? Oppure è la Corte dei Conti, visto che stiamo pur sempre parlando di un danno arrecato dal dipendente pubblico alla P.A.?

Ricordiamo che, per la giurisprudenza della Corte dei Conti è, ad esempio, “responsabile per danno erariale il personale dipendente, medico e paramedico, di un’azienda sanitaria in caso di dimenticanza di materiale estraneo nel corpo del paziente operato, allorquando risulti evidente la grave colpevolezza del chirurgo e del personale infermieristico, nonché il nesso causale tra la loro condotta e l’evento dannoso, avendo ciascuno concorso, mediante un contributo causale, addizionale e indipendente (ossia non voluto e non concordato), al verificarsi del danno”  (Corte Conti Umbria, sez. reg. giurisd., 11/12/2013, n. 138). In tale ultimo caso, la Corte dei Conti si era pronunciata in merito alla dimenticanza di una pinza nell’addome del paziente, configurando la responsabilità concorrente sia del primo (e anche del secondo) operatore, che dell’infermiere strumentista tenuto alla conta iniziale dei ferri chirurgici e alla verifica degli stessi al termine dell’intervento.

Sul tema è intervenuta la Corte di Cassazione, a Sezioni unite, con sentenza nr. 21992 del 12 ottobre 2020. Si trattava di una causa intentata dagli eredi di un soggetto deceduto durante un intervento chirurgico. Il tribunale adito in prima istanza condannava l’azienda a risarcire i danni non patrimoniali spettanti iure proprio e iure hereditario agli attori e, inoltre, condannava il chirurgo a “rimborsare” in via di regresso la struttura di quanto questa aveva corrisposto ai danneggiati.

Il medico, però, proponeva appello protestando la sussistenza di un difetto di giurisdizione: il tribunale civile non avrebbe potuto, a suo dire, pronunciarsi sulla domanda di manleva perché la stessa poteva e doveva essere decisa solo da un giudice contabile. E ciò proprio alla luce del fatto che trattavasi di una questione involgente il rapporto di dipendenza (e di responsabilità per colpa grave) con un ente pubblico: in quanto tale, destinato alla giurisdizione della Corte dei Conti.

La Cassazione ha innanzitutto configurato la fattispecie in esame alla stregua di un danno erariale indiretto. Ha poi specificato che le due giurisdizioni (civile e contabile) assolvono a scopi diversi e perseguono obbiettivi differenti e, in quanto tali, non sovrapponibili. Da un lato, vi è l’azione di responsabilità per danno erariale che tutela l’interesse pubblico generale al buon andamento della pubblica amministrazione. Dall’altro vi è l’azione classica di responsabilità civile con la quale l’ente pubblico mira a rivalersi (sul proprio dipendente direttamente responsabile del danno) per quanto erogato a favore della vittima dell’illecito. In ossequio ai principii testè esposti la Suprema Corte ha cassato la sentenza impugnata e rimesso la causa avanti alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione per l’emissione di una pronuncia conforme ai principii suenunciati.

Avv. Francesco Carraro

carraro@avvocatocarraro.it

Francesco Carraro

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