Presidente dell’ARAN, agenzia che rappresenta le pubbliche amministrazioni nei tavoli contrattuali, Antonio Naddeo è un osservatore esperto e appassionato del mondo pubblico. Con una lunga carriera tra MEF e Funzione Pubblica, oggi utilizza anche i social per divulgare temi complessi con linguaggio diretto e accessibile, affrontando questioni che toccano da vicino giovani candidati ai concorsi, dipendenti pubblici e dirigenti.
Lo abbiamo intervistato per parlare di pubblica amministrazione, retribuzioni, concorsi, intelligenza artificiale e comunicazione istituzionale. Ne è uscita una conversazione franca, in cui Naddeo, con spirito pratico e visione lunga, ha tracciato un ritratto sincero della PA di oggi — e di quella che potrà essere domani.
Concorsi pubblici: l’intervista al presidente Antonio Naddeo
Presidente Naddeo, lei si occupa spesso di intelligenza artificiale e di concorsi pubblici, anche sui social. Da dove nasce questo interesse?
Sono sempre stato un curioso. Fin dall’inizio della mia carriera ho amato sperimentare strumenti tecnologici che potessero aiutarmi a lavorare meglio. Oggi la curiosità si è spostata sull’intelligenza artificiale, che ritengo una rivoluzione culturale e operativa.
Ci sono oggi diverse piattaforme basate su AI che permettono di creare contenuti, sintetizzare testi, generare presentazioni o supportare l’analisi di dati, spesso con interfacce intuitive e veloci.
Pur non essendo un fan delle slide tradizionali, ho trovato interessante esplorare anche questi strumenti, perché facilitano la comunicazione e possono rendere più accessibili concetti complessi. Chi lavora nella PA dovrebbe familiarizzare con queste tecnologie: sono strumenti, e come tali vanno conosciuti e utilizzati con spirito critico.

Parliamo di pubblica amministrazione. Cosa può offrire oggi la PA a un giovane?
Prima di tutto, una premessa: non esiste una sola pubblica amministrazione. Così come non ha senso dire “lavoro nel privato”, perché può significare qualsiasi cosa, anche nel pubblico esistono migliaia di realtà diverse: ministeri, comuni, ASL, agenzie fiscali, scuole, università. Secondo le classificazioni più ampie, possiamo stimare oltre 30.000 datori di lavoro pubblici in Italia.
La PA offre un’enorme varietà di ruoli e carriere. C’è spazio per chi vuole insegnare, fare ricerca, lavorare nel sociale, nella sanità, nella giustizia, nel fisco… Ogni titolo di studio può trovare una collocazione, e spesso con percorsi stabili e con possibilità di crescita.
E sul piano economico? Il pubblico è ancora competitivo?
Dipende dal comparto. Le amministrazioni centrali, come l’Agenzia delle Entrate, hanno trattamenti economici molto competitivi. Altre, come i piccoli comuni, soffrono maggiormente. C’è uno squilibrio tra funzioni centrali e locali, ed è un problema che stiamo affrontando anche attraverso il recente decreto PA, che consente agli enti locali di incrementare il trattamento accessorio.
Detto questo, non è solo una questione di stipendio. Nel pubblico esistono tutele, ferie più ampie, stabilità del contratto. E non parlo del “posto fisso” come gabbia: chi vuole andarsene può farlo. Ma il contratto a tempo indeterminato è ancora una garanzia rara per molti giovani che oggi lavorano nel precariato.
Però molti guardano alla PA solo come fonte di stabilità, non come un luogo dove realizzarsi.
È vero. C’è una comunicazione sbagliata — o meglio, assente — sulla missione del lavoro pubblico. Chi lavora in un ospedale, in un ufficio scolastico, in un comune, offre servizi ai cittadini. Il senso di lavorare nella PA sta anche lì: nel contribuire al funzionamento del Paese. Questo, però, non lo raccontiamo abbastanza, soprattutto ai giovani. Eppure è la leva motivazionale più forte.
Con il decreto PA è stato fatto un primo passo sul riequilibrio delle retribuzioni tra enti centrali e locali. Cosa può fare ARAN su questo fronte?
Il Decreto PA ha introdotto una misura importante: permette agli enti locali di sforare i tetti previsti dal MEF per integrare il trattamento accessorio. Questo consente ai comuni, ad esempio, di avvicinarsi alle retribuzioni delle amministrazioni centrali. È un primo passo, significativo.
ARAN, nei limiti del budget fissato dalla legge di bilancio, sta lavorando per rinnovare i contratti e portare a casa risultati concreti. Abbiamo chiuso il contratto delle Funzioni Centrali con un incremento medio del 6%. Speriamo di fare presto lo stesso per gli enti locali, anche grazie al sostegno di questo intervento normativo.
I concorsi unici sono la strada giusta? O è meglio puntare su bandi mirati?
Ho cambiato idea su questo. In passato vedevo il concorso unico come una forma di efficienza e razionalizzazione. Ma oggi mi rendo conto che un bando mirato è più chiaro e più utile per orientare i candidati. Sapere dove si andrà a lavorare, con quale ruolo e in quale contesto, è fondamentale per scegliere in modo consapevole.
Anche il modo di comunicare i bandi deve cambiare. Un testo semplice e diretto, pubblicato anche sui social, può fare la differenza. Lo abbiamo sperimentato con una selezione interna e le risposte sono state dieci volte superiori rispetto ai metodi tradizionali.
E la competizione interna tra amministrazioni? Roma ne è un caso emblematico
È vero, a Roma la competizione tra amministrazioni pubbliche è particolarmente evidente. Nella stessa città, chi partecipa a un concorso può trovarsi a scegliere tra un impiego al Comune e uno in un ministero o in un’agenzia centrale. E spesso, lo stipendio e il trattamento accessorio delle amministrazioni centrali risultano più vantaggiosi.
Tuttavia, anche lavorare in un ente locale ha un valore specifico: l’impatto del proprio lavoro è più visibile, più concreto. Chi lavora in un comune si occupa direttamente dei servizi alla cittadinanza, vede gli effetti delle proprie attività. È un’esperienza professionalmente e umanamente molto significativa.
Il divario esiste, ma interventi come quelli previsti dal decreto PA puntano a ridurlo. E poi c’è anche un tema di motivazione: la retribuzione conta, certo, ma anche il coinvolgimento e il senso del lavoro fanno la differenza. Nella mia esperienza, all’inizio della carriera, mi sono posto molte domande, poi ho trovato il mio posto. E credo che lo stesso possa accadere a molti giovani, anche nei contesti locali.
Con il recente concorso per segretari parlamentari per la Camera dei Deputati, per la prima volta, una selezione pubblica prevede la conoscenza dell’intelligenza artificiale tra le materie d’esame. Cosa ne pensa?
È un ottimo segnale. L’intelligenza artificiale è già una realtà nel lavoro quotidiano, anche nella PA. Ma va usata con consapevolezza. Non basta sapere cos’è ChatGPT: bisogna capire i limiti dello strumento, come verificarne i risultati, come usarlo in modo efficiente.
Io credo che nei prossimi mesi vedremo una maggiore richiesta di competenze AI nei bandi. Sarà come anni fa con il computer: prima bastava conoscerlo, poi è diventato essenziale saperlo usare. Oggi siamo allo stesso punto con l’AI.
In conclusione, come possiamo rendere la PA davvero attrattiva?
Dobbiamo smettere di parlare solo di “posto fisso”. La PA non è solo garanzia, ma anche scopo, servizio, varietà. Serve una nuova narrazione, più chiara e autentica, che parta dalla comunicazione, passi dai bandi e arrivi alla formazione continua.
Il lavoro pubblico non è una seconda scelta. Può essere una carriera appassionante, utile, moderna. Ma dobbiamo saperlo raccontare.
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Foto di copertina: iStock/smolaw11
Foto del Presidente Naddeo su gentile concessione di ARAN
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