Caso Muraro: il vero sconfitto è Di Maio. Il MoVimento a un bivio

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Non sarà Virginia Raggi, ma Luigi Di Maio a pagare il prezzo più alto: il silenzio sulle indagini a carico dell’assessore Muraro potrebbe costargli la guida dei 5 Stelle.

Non si arresta la bufera sulla giunta Raggi e il MoVimento 5 Stelle. L’iscrizione al registro degli indagati dell’assessore all’ambiente Paola Muraro ha creato un corto circuito che sembra aver prodotto una vittima su tutte: Luigi Di Maio.

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L’enfant prodige del partito di Grillo appare come il vero sconfitto di tutta la vicenda, che a pochi mesi dalla vittoria delle elezioni ha gettato l’amministrazione capitolina nel vortice delle rivendicazioni e delle aspre polemiche.

Certo, dalle parti del Campidoglio, negli ultimi anni, se ne sono viste di tutti i colori, e non solo in quanto ad appartenenza politica. La scelta dei 5 Stelle da parte dei cittadini romani era apparsa come l’ultima spiaggia, il voto di protesta contro un establishment che aveva tradito gli elettori sperperando denaro, stringendo accordi con personaggi balordi, lasciando la città sommersa di rifiuti e senza prospettive reali di cambiamento.

Per questo, anche in ottica nazionale, la vittoria ottenuta da Virginia Raggi alle elezioni di giugno poteva segnare uno spartiacque anche per il MoVimento: da soggetto di protesta a entità di governo, dal “vaffa” alla responsabilità.

L’alter ego di Virginia Raggi in Parlamento, altri non è che proprio Di Maio, giovane astro nascente tra gli eletti grillini, che non ha tardato a mettersi in mostra, rappresentando l’ala più dialogante dei 5Stelle e meglio inserita nel contesto istituzionale.

Eppure, anche lui non è rimasto immune dalla tempesta che si è scaraventata contro il Campidoglio, prima con le dimissioni eccellenti di alcuni fedelissimi nominati all’indomani del ballottaggio, e ora con il caso di un assessore indagato – pur per fatti non risalenti all’amministrazione in corso – che rimane stabile al proprio posto.

La leggerezza compiuta sia da Raggi che da Di Maio è aver taciuto, una volta appreso dell’iscrizione della Muraro al fascicolo di indagine, anche con gli stretti collaboratori oltre che con l’opinione pubblica.

Il giovane deputato, in particolare, non avrebbe avvertito i compagni di direttorio Roberto Fico, Carla Ruocco, Carlo Sibilia e Alessandro Di Battista, con cui condivide le redini del MoVimento. “Ho sottovalutato la mail” ha cercato di difendersi ieri sera, riferendosi a varie comunicazioni intercorse con esponenti romani della galassia grillina che lo informavano dell’avvenuta iscrizione.

Proprio mentre sembrava che l’ascesa di Di Maio fosse inarrestabile, con i sondaggi in crescita, il gradimento bipartisan, il possibile tramonto del goveno Renzi con il referendum costituzionale, ecco spuntare ombre pesanti che rimettono in discussione la leadership di un soggetto che contende il posto di primo partito italiano al Pd.

Grillo ha cercato di rassicuare i suoi, lo stesso Di Maio, scuro in volto, ha recitato un mesto mea culpa ma all’interno dei 5 Stelle si è creato un precedente che potrebbe minare le basi di consenso, costruite sulla “purezza” dei candidati e sulla diversità dai partiti tradizionali.

La sensazione, però, è che se all’interno del MoVimento non verrà risolto questo nodo, che vede trattamenti differenti a seconda delle situazioni di crisi – si veda Pizzarotti a Parma o Nogarin a Livorno – anche l’erede di Luigi Di Maio un giorno non lontano potrebbe trovarsi nell’occhio del ciclone, anche solo per una mail o un sms.

Francesco Maltoni

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