L’anonimato, tra interessi pubblici e vizietti privati

Massimo Greco 14/01/16
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Alzi la mano chi non ha mai subito un esposto, una denuncia, una segnalazione anonima con il chiaro scopo di danneggiarti. Nella nostra società meridionale, l’anonimato è un parente stretto dell’omertà, due prerogative sociologiche che contribuiscono non poco ad alimentare il familismo amorale e, contestualmente, a scoraggiare la formazione del virtuoso capitale sociale. La gestione dell’anonimato cambia verso in funzione della natura degli interessi in gioco.

Se l’ambito rimane privato il comportamento varia al variare del carattere delle persone coinvolte. Sia la parte attiva che la parte passiva dell’anonimato reagiscono secondo la rispettiva coscienza e, comunque, in relazione ai rispettivi interessi privati. Se, invero, in gioco ci sono anche interessi pubblici, i margini di discrezionalità comportamentale si riducono drasticamente. Se, infatti, è la Pubblica Amministrazione a ricevere l’anonimato, la reazione di chi è tenuto a curare gli interessi pubblici, per i quali esercita la correlata funzione, è decisamente vincolata. L’assenza della firma di chi segnala una questione d’interesse pubblico risulta cedevole rispetto all’esigenza di tutelare un interesse che, appartenendo alla collettività, non può non essere adeguatamente considerato.

La Pubblica Amministrazione, al netto di chiari ed evidenti strafalcioni che non circoscrivono chiaramente l’oggetto della segnalazione, mentre non può permettersi il lusso di cestinare la comunicazione, ha il dovere d’intervenire adottando, all’occorrenza, anche i  provvedimenti cautelativi e/o sanzionatori. Un vero e proprio stile di vita diffuso nella società meridionale (rectius “vizietto”) è quello di destinare i propri scritti anonimi all’Autorità Giudiziaria. Quest’ultima, chiamata a promuovere obbligatoriamente l’azione penale, viene sempre più spesso utilizzata non come “ultima spiaggia” ma come un “organo jolly”, in grado di risolvere tutti i problemi di una società in eterno conflitto.

Ma è proprio la natura di tali problemi che anima la presente riflessione. Siamo così sicuri che il denunciante anonimo sia animato da spirito civico? Ciò che spinge l’anonimo a denunciare la violazione di un interesse pubblico è frutto di una visione collettiva e generale della società o più semplicemente di un rancore personale nei confronti del denunciato? Del resto, se il denunciante è animato da nobili principi e virtù civiche perché dovrebbe rimanere anonimo?

Di contro, c’è pure da dire che non sempre è opportuno uscire dall’anonimato, alcuni ambienti sociali (malavitosi, potentati ecc…) potrebbero suggerire di mantenere l’anonimato. Ma in quest’ultimo caso l’esigenza di tutelare l’anonimato altro non è che uno strumento per tutelare il medesimo interesse pubblico messo a repentaglio. Basti pensare che buona parte del carico di lavoro dell’Autorità Nazionale Anticorruzione fonda la propria attività di vigilanza sulle segnalazioni anonime.

Morale della questione. In un contesto in cui i fenomeni corruttivi nella P.A. del nostro Paese sono tutt’altro che cessati, il nostro ordinamento sembra tollerare l’anonimato, ancorchè consapevole degli effetti patologici che tale pratica sociale ha sui sistemi relazionali e comunitari.

Massimo Greco

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