Parzialmente impugnata la riforma siciliana dell’ente intermedio

Massimo Greco 23/11/15
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di Massimo Greco (*)

                                                                                         “Ci sono epoche nella vita in cui si può andare  avanti soltanto tornando indietro” Piero Gentile

Sommario: 1. L’art. 15 dello Statuto siciliano – 2. La definizione di “ente territoriale di governo” – 3. La l.r. n. 15 del 4 agosto 2015 – 4. La conformità alla previsione statutaria – 5. La conformità alla Costituzione – 6. Considerazioni finali. 

Il legislatore siciliano si è spesso caratterizzato per un uso creativo delle proprie prerogative statutarie, ma con la recente approvazione della l.r. n. 15 del 4 agosto 2015 recante “Disposizioni in materia di liberi consorzi comunali e Città metropolitane” sembra essersi superato. Se, infatti, con la l.r. n. 9/86, che non esitammo a definire un atto di mechanè[1], il legislatore diede attuazione all’art. 15 dello Statuto istituendo solo apparentemente i “liberi Consorzi comunali” sotto il nome di “Province regionali”, con la qui commentata l.r. n. 15, il legislatore, nel (ri) dare attuazione al citato art. 15 dello Statuto siciliano, sopprime le “Province regionali” e disciplina compiutamente i “liberi Consorzi comunali”.

Il Consiglio dei Ministri, sostituitosi alla soppressa figura del Commissario dello Stato[2], in data 5 novembre 2015 ha deliberato di impugnare la citata l.r. n. 15/2015 salvandone, tuttavia, l’impianto. Le disposizioni per le quali è stato deciso di promuovere la questione di legittimità costituzionale dinanzi alla Corte Costituzionale della legge regionale in esame concernono infatti solamente l’assenza di elementi di ponderazione a garanzia della rappresentatività dei territori per l’elezione indiretta degli organi di governo sia delle Città metropolitane che dei Consorzi comunali, la mancata coincidenza del Sindaco della Città metropolitana col Sindaco del capoluogo di provincia, la mozione di sfiducia al Sindaco di un organo di secondo grado, una diversa distribuzione delle competenze fra i diversi organi della Città metropolitana, la previsione delle indennità agli amministratori non prevista nella legge statale, l’attribuzione ai Consorzi comunali di funzioni amministrative sussidiarie a quelle delle Autorità d’ambito per la gestione dei servizi integrati in materia di acqua e rifiuti e una generica competenza in capo alla Regione in materia di ambiente.

Il Governo, nell’impugnativa, alla quale si rimanda per una consultazione integrale delle motivazioni[3], non ha ritenuto di eccepire ciò che, invero, a parere di chi qui scrive rappresenta palesemente il vero vulnus costituzionale della riforma: l’impropria natura giuridica dei “liberi Consorzi comunali”. Orbene, la mancata impugnativa di aspetti della riforma dell’ente intermedio che, per quanto infra illustrato, appaiono tanto evidenti quanto dannosi per la sostenibilità del sistema delle autonomie locali in Sicilia, appare emblematico di un modo di essere dell’ermeneutica giuridica contemporanea, che produce l’esatto contrario dello storico postulato di certezza del diritto. Un modo d’essere ascrivibile al c.d. metodo umanistico, ossia alla tesi che il diritto – in quanto scienza sociale – si sottragga ai metodi di studio propri delle scienze esatte e sia caratterizzato da ampi margini di opinabilità.

  1. L’art. 15 dello Statuto siciliano.

L’art. 15 dello Statuto siciliano così recita: “L’ordinamento degli enti locali si basa nella Regione stessa sui Comuni e sui liberi Consorzi comunali, dotati della più ampia autonomia amministrativa e finanziaria”. Secondo le previsioni di cui all’art. 20 della l.r. 18 marzo 1955 n. 17 ed all’art. 13 del d.l. del Presidente della Regione n. 6 del 29/10/1955, il “libero Consorzio comunale” ha “…natura di ente pubblico non territoriale, dotato di autonomia amministrativa e finanziaria”. La dottrina definisce il Consorzio tra enti locali un ente non territoriale dotato di personalità giuridica, avente natura associativa e strumentale rispetto agli enti che vi partecipano[4]. Se nell’ente locale il “territorio” rappresenta un elemento costitutivo del processo identitario della comunità locale, nel “libero Consorzio comunale” il “territorio” ha solo una valenza amministrativo-funzionale.

L’attribuzione dell’autonomia amministrativa e finanziaria, sottesa alla personalità giuridica, non comporta l’inserimento automatico dell’ente consortile tra gli enti territoriali di governo. Anche secondo la Corte dei Conti, “Così come l’azienda speciale è un ente strumentale dell’ente locale, ossia ente istituzionalmente dipendente dall’ente locale ed elemento del sistema amministrativo facente capo a questo, allo stesso modo il consorzio, in quanto azienda speciale degli enti locali che l’hanno istituito, è un ente strumentale per l’esercizio in forma associata di servizi pubblici o funzioni e fa parte del sistema amministrativo di ognuno degli enti associati. A tale configurazione non osta il conferimento al consorzio della personalità giuridica, che vale solo a caratterizzarlo, sul piano formale, come un nuovo centro di imputazione di rapporti giuridici, distinto dagli enti che lo hanno istituito[5]. Al contrario, sembra leggersi nello spirito della previsione statutaria proprio l’esigenza ordinamentale di riconoscere ai soli Comuni le funzioni amministrative proprie di un ente locale e di lasciare alla “libertà” dei medesimi, la scelta di decidere il “libero Consorzio comunale” attraverso il quale gestire in modo associato servizi e/o funzioni, evidentemente, non idoneamente assicurati nell’ambito territoriale di competenza.

Che sia tale la natura giuridica dell’ente consortile è dimostrato sia dall’aspetto strutturale che da quello funzionale. Dal punto di vista strutturale è opportuno richiamare l’art. 25 della l.r. 15 marzo 1963, n. 16 (“Ordinamento amministrativo degli enti locali nella Regione siciliana”), nonché l’art. 31 del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (norma applicabile nell’ordinamento regionale per effetto del rinvio dinamico contenuto nell’art. 37, comma 2, della l.r. n. 7/92). Le riferite disposizioni prevedono che del Consorzio, quale struttura associativa di enti locali, possono far parte solo enti pubblici. Dal punto di vista funzionale vanno poi richiamati l’art. 24 della citata l.r. n. 16/1963, nonché l’art. 31 del d.lgs. n. 267/2000. L’art. 24, comma 1, della l.r. n. 16/1963 prevede, in particolare, che due o più Comuni possono costituire un Consorzio “per lo svolgimento dei servizi di loro particolare interesse”; il citato art. 31, comma 1, del d.lgs. n. 267/2000, dispone, per quanto qui interessa, che gli enti locali possono costituire un Consorzio “per la gestione associata di uno o più servizi e l’esercizio associato di funzioni”. Le disposizioni riportate configurano dunque il Consorzio quale ente strumentale degli enti locali che ne fanno parte.

In tale contesto, il “libero Consorzio comunale” di cui al citato art. 15 dello Statuto siciliano, costituisce certamente un’entità soggettiva autonoma e distinta dai singoli Comuni che ne fanno parte, sicchè ogni attività svolta dai propri organi va imputata esclusivamente all’ente che essi rappresentano e non ai vari soggetti che di questo fanno parte e che hanno contribuito a costituire, pertanto “l’ente consorziale gode di propria soggettività[6]. Tuttavia, l’ente consortile non può contare sulla rete di protezione costituzionale (art. 114 Cost.), invece prevista per gli enti locali, in quanto sprovvisto del requisito dell’autonomia politica sotteso allo status di ente di governo territoriale. Dello stesso avviso è la giurisprudenza amministrativa secondo cui, “Il Consorzio d’ambito (quantunque composto dai Comuni rientranti nell’A.T.O.) non può essere annoverato tra gli enti dotati di <<autonomia>> costituzionalmente protetta[7].

Postulato di queste argomentazioni è che nell’ambito del “libero Consorzio comunale” l’ente locale è rappresentato dai soli Comuni aderenti. La giurisprudenza, dopo averne posto in evidenza il carattere strumentale, al pari di quello proprio delle aziende speciali, sottolinea che il Consorzio “fa parte del sistema amministrativo di ognuno degli enti associati[8].

Pertanto, anche il “libero Consorzio comunale” concepito dall’art. 15 dello Statuto è un ente che presenta solo due tipi di autonomia, quella amministrativa e quella finanziaria, risultando sprovvisto della terza autonomia, quella politica, di cui è invece dotato l’ente territoriale di governo sia comunale che provinciale. Sul punto si registra altresì la giurisprudenza del Tar Palermo[9], secondo cui “l’art. 15 dello Statuto attribuisce, evidentemente, una diversa configurazione all’assetto istituzionale sovra comunale rispetto a quello attualmente esistente e scaturito dalla l.r. 6/5/1986, n. 9 e s.m.i. che ha attuato la norma costituzionale solo apparentemente secundum legem nel momento in cui ha determinato l’organizzazione delle province nella Regione Siciliana, come nel resto dell’Italia, quali enti locali territoriali dotati di autonomia anche politica e non solo amministrativa e finanziaria”.

  1. La definizione di “ente territoriale di governo”

Nell’ordinamento siciliano, al netto della carente previsione di cui al citato art. 15 dello Statuto, non si rinviene un’elencazione degli enti locali alla stregua di quanto invece previsto nell’ordinamento statale mediante il TUEL. Secondo quanto previsto dall’art. 2, comma 1, del d.lgs. n. 267/2000, “Ai fini del presente testo unico si intendono per enti locali i comuni, le province, le città metropolitane, le comunità montane, le comunità isolane e le unioni di comuni”. Il 2° comma del medesimo articolo così dispone: “Le norme sugli enti locali previste dal presente testo unico si applicano, altresì, salvo diverse disposizioni, ai consorzi cui partecipano enti locali, con esclusione di quelli che gestiscono attività aventi rilevanza economica ed imprenditoriale e, ove previsto dallo statuto, dei consorzi per la gestione dei servizi sociali”.

Mentre appare evidente che i Consorzi di enti locali sono stati dal legislatore statale consapevolmente esclusi dal novero degli enti locali, la nozione di autonomie locali comunemente accettata sia in sede teorica che da parte della giurisprudenza ha riguardo non agli enti pubblici locali in genere ma agli enti territoriali in senso proprio, distinzione fatta sia dalla Corte dei Conti[10] che dal Consiglio di Stato[11] con riferimento alla natura giuridica degli Istituti Autonomi Case Popolari. Non deve quindi indurre in errore il fatto che la definizione di “ente locale” viene ritrovata anche in altre normative, atteso che “la definizione di ente locale di cui all’art. 2, comma 1, del TUEL n. 267/2000 non può ritenersi applicabile, necessariamente, ad ogni altra disposizione che usi lo stesso termine, essendo ben possibile che norme diverse dal detto Testo unico riferiscano la qualifica di ente locale a soggetti ulteriori rispetto a quelli di cui al citato art. 2[12]. Infatti le ultime le leggi finanziarie per gli anni 2005 e 2006 nello stabilire, ad esempio, il limite di spesa in materia di consulenze e di personale hanno fatto riferimento agli “enti locali”, ivi compresi i Consorzi di funzioni[13].

Peraltro, se gli enti locali sono enti dotati di autonomia costituzionalmente protetta lo si deve sia all’art. 5 della Cost. che all’art. 114 Cost.. Quest’ultimo, com’è noto, prevede che “La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato”. Da questa tassativa elencazione non solo mancano i Consorzi di enti locali, ma pure le Unioni di Comuni, alle quali l’art. 32 del citato TUEL ha invece espressamente attribuito lo status di enti locali. Tale attribuzione, confermata anche dalla successiva legge Delrio n. 56/2014, è stata però messa in discussione dalla Corte Costituzionale, per la quale “Tali unioni – risolvendosi in forme istituzionali di associazione tra Comuni per l’esercizio congiunto di funzioni o servizi di loro competenza e non costituendo, perciò, al di là dell’impropria definizione sub comma 4 dell’art. 1, un ente territoriale ulteriore e diverso rispetto all’ente Comune – rientrano, infatti nell’area di competenza statale……[14]. Se per la natura giuridica delle Comunità montane, quali “casi speciali di Unione di Comuni”, si registra una giurisprudenza in evoluzione della medesima Corte Costituzionale[15], per quella dei Consorzi di enti locali non sembrano esserci dubbi.

Ora, al di là del nomen iuris di volta in volta attribuito dal legislatore agli enti pubblici, ciò che rileva ai fini dell’individuazione della loro natura giuridica deriva da un’indagine sugli indicatori sintomatici. Va infatti considerato che, in generale, tra i caratteri che contraddistinguono gli enti locali territoriali rileva non solo la titolarità e l’esercizio di funzioni di natura pubblicistica ma anche la rappresentatività dell’ente e, cioè, il porsi come espressione politico-istituzionale della collettività locale. L’ente locale, o ente territoriale di governo, è un ente “per antica dottrina sede propria di policentrismo autonomistico o, come si dice oggi, di federalismo[16], che realizza l’autogoverno della comunità e sovrintende, nel quadro della programmazione regionale, all’ordinato sviluppo economico e sociale della comunità medesima. Quindi un ente esponenziale “a fini generali” che ha anche l’obbligo istituzionale di curare gli interessi e promuovere lo sviluppo della comunità amministrata.

  1. La l.r. n. 15 del 4 agosto 2015

Se, per quanto sopra illustrato,  la natura giuridica del “libero Consorzio comunale” sembra quindi annoverabile tra gli enti non territoriali, dello stesso avviso non è il legislatore siciliano  che con la l.r. n. 8/2014 prima e con la successiva l.r. n. 15/2015 ha sostanzialmente, ma anche letteralmente, concepito il “libero Consorzio comunale” avente natura giuridica di ente territoriale di governo.

L’art. 1, comma 1, della l.r. n. 15/2015 così recita: “I liberi Consorzi comunali e le Città metropolitane sono enti territoriali di area vasta dotati di autonomia statutaria, regolamentare, amministrativa, impositiva e finanziaria nell’ambito dei propri statuti e regolamenti, delle leggi regionali e delle leggi statali di coordinamento della finanza pubblica. Gli organi di governo dei suddetti enti sono eletti con sistema indiretto di secondo grado” governo”[17]. Il 2° comma dispone altresì che “Ai liberi Consorzi comunali ed alle Città metropolitane si applica, in quanto compatibile, la normativa in materia di ordinamento degli enti locali della Regione siciliana”.

Alla formale ed espressa attribuzione ai “liberi Consorzi comunali” e alle “Città metropolitane” dello status di enti territoriali (con la sola omissione della tradizionale estensione “di governo”) il legislatore, oltre a riconoscere in capo ai “liberi Consorzi comunali” la titolarità di funzioni proprie già spettanti alle ex province regionali ai sensi  dell’articolo 13 della legge regionale 6 marzo 1986, n. 9 (art. 27, comma 1), attribuisce ulteriori funzioni proprie in materia di pianificazione territoriale ed urbanistica, approvazione degli strumenti urbanistici dei Comuni (prima di competenza regionale), organizzazione e gestione in materia di tutela ambientale, pianificazione dei servizi di trasporto, promozione, coordinamento e valorizzazione dello sviluppo economico e sociale, sostegno e sviluppo dei Consorzi universitari presenti nel territorio nonché degli enti culturali già sostenuti dalle ex Province regionali, promozione e coordinamento dei sistemi di informatizzazione e di digitalizzazione in ambito consortile; organizzazione dello sviluppo turistico, gestione delle riserve naturali gestite dalle ex Province regionali (art. 27, comma 2). Ma vi è di più, entro un anno dalla data di entrata in vigore della legge la Regione, con le modalità di cui all’articolo 35 della legge regionale 15 maggio 2000, n. 10, conferisce ai “liberi Consorzi comunali” ed alle Città metropolitane anche le funzioni in materia di edilizia popolare abitativa, di vigilanza sull’attività dei Consorzi di bonifica e di motorizzazione civile (art. 32). Ancora, viene altresì specificato che “i liberi Consorzi comunali e le Città metropolitane hanno autonomia di entrata e di spesa”.

In ordine alla governance del nuovo ente intermedio il legislatore siciliano prevede (art. 5 e 6) l’esercizio di una sovranità indiretta, ovvero di 2° grado, riconoscendo sia il diritto di elettorato attivo che quello di elettorato passivo ai rappresentanti elettivi dei Comuni aderenti (Sindaci e Consiglieri comunali) ad eccezione della sola Presidenza del “libero Consorzio comunale” riservata ai Sindaci.  Entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, lo statuto del “libero Consorzio comunale” può prevedere l’elezione diretta a suffragio universale del Presidente (art. 6, comma 8). In quest’ultimo caso “Qualora gli statuti dei liberi Consorzi comunali e delle Città metropolitane che rappresentino la maggioranza della popolazione della Regione prevedano l’elezione diretta, il Governo presenta all’Assemblea regionale siciliana il disegno di legge che stabilisce le modalità di elezione diretta a suffragio universale del Presidente del libero Consorzio comunale e del Sindaco metropolitano” (art. 6, comma 8, 2° alinea).

Dalla lettura delle su indicate disposizioni si rilevano almeno cinque indicatori sintomatici della reale natura giuridica del “libero Consorzio comunale” concepito dalla qui commentata l.r. n. 15/2015.

Il primo concerne il riconoscimento della titolarità di funzioni proprie. Se le funzioni proprie sono quelle funzioni che costituiscono il nucleo identificativo degli enti stessi, poiché tradizionalmente ad essi inerenti e la cui titolarità non può che essere riconfermata in capo ad essi[18], come può il legislatore attribuire ex-novo ai “liberi Consorzi comunali” funzioni proprie originariamente riconosciute in capo alle Province regionali? Delle due l’una, o le Province regionali erano solo una denominazione dei “liberi Consorzi comunali” già istituiti con la l.r. n. 9/86 in attuazione dell’art. 15 dello Statuto, ovvero se i “liberi Consorzi comunali” risultano istituiti solo con la novella legge, il riconoscimento della titolarità di funzioni proprie in capo ai “liberi Consorzi comunali” altro non è che un semplice passaggio di funzioni da un precedente ente territoriale di governo ad un nuovo ente territoriale di governo i cui organi non sono più eletti direttamente dai cittadini.

Il secondo indicatore deriva sia dalla quantità che dalla qualità delle funzioni amministrative, il cui esercizio è demandato ai nuovi enti intermedi. Le funzioni amministrative riconosciute dal legislatore ai nuovi enti intermedi sono l’esatto contrario di quelle “funzioni di indirizzo e coordinamento delle attività dei Comuni” che il medesimo legislatore siciliano pensava di attribuire alle future Province regionali nel contesto della programmata riforma dell’ente intermedio[19].

Ma la funzione amministrativa che più di ogni altra dimostra la natura sostanziale di ente territoriale di governo del “libero Consorzio comunale” è quella di tipo impositivo. Orbene, con la novella disposizione non si tiene conto che le funzioni amministrative di tipo impositivo non possono essere esercitate da un ente sprovvisto dello status di ente territoriale di governo. Infatti, il soggetto attivo del rapporto tributario (sia in relazione all’an che in relazione al quantum) non può che essere un ente pubblico dotato dello specifico imperium (potestà impositiva); potere che deve essere necessariamente esercitato dagli organi elettivi, secondo le procedure democratiche e non mediante delega a soggetti consortili, o associativi, quali sono i consorzi di che trattasi, politicamente irresponsabili perché sprovvisti, come già detto, di autonomia politica. Peraltro, l’art. 119 della Costituzione attribuisce alle sole Province la facoltà di stabilire ed applicare tributi. Tale articolo stabilisce chiaramente che le “Province…hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa…Le Province hanno risorse autonome. Stabiliscono e applicano tributi ed entrate propri, in armonia con la Costituzione e secondo i principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario. Dispongono di compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibili al loro territorio”. Anche il questo caso, delle due l’una. O il “ libero Consorzio comunale” è un ente strumentale dei Comuni aderenti e come tale impossibilitato ad esercitare funzioni impositive in forza del principio “no taxation without representation”, ovvero è un ente territoriale di governo al pari della precedente Provincia regionale.

Il terzo indicatore riguarda le modalità di elezione degli organi di governo del “libero Consorzio comunale”. La possibilità di optare, previa espressa previsione statutaria, per l’elezione diretta del Presidente del “libero Consorzio comunale, ancorchè aggravata da una futura intermediazione legislativa che ne disciplini le modalità, toglie ogni dubbio circa la natura di vero e proprio ente territoriale di governo, atteso che l’elezione diretta a suffragio universale altro non è che la forma più squisitamente politica di esercizio di quella sovranità che l’art. 1 della Costituzione attribuisce al popolo[20].

Il quarto è certamente rappresentato dall’introduzione dello strumento referendario per l’adesione a un “libero Consorzio comunale” diverso da quello di provenienza e denominato dalla l.r. n. 9/86, “Provincia regionale”. La norma a regime (art. 45, comma 5) prevede che i Comuni che intendono distaccarsi dal “libero Consorzio comunale” di provenienza debbono consultare le rispettive popolazione attraverso un referendum confermativo della volontà già espressa dal Consiglio comunale. Il legislatore regionale, in disparte l’anomalìa della mancata individuazione di un quorum minimo di partecipazione, ha quindi sentito l’esigenza di coinvolgere le comunità locali interessate per una scelta che, evidentemente, ritiene fondamentale per il futuro del Comune, incidendo profondamente nella sfera di interessi costituzionalmente garantiti. Così facendo il legislatore sottende una valutazione politico-identitaria che non può non essere rimessa all’attenzione dei cittadini. E’ fin troppo evidente il significato che il legislatore affida anche al concetto di “popolazione” del futuro “libero Consorzio comunale”: non certo “funzionale”, come quello che tradizionalmente viene richiesto ad un ente non territoriale di governo qual’è quello consortile, bensì elemento “costitutivo” del processo identitario di una comunità locale richiesto ad un ente territoriale di governo dotato di copertura costituzionale.

Il quinto indicatore deriva altresì dall’esigenza avvertita dal legislatore regionale (artt. 44, comma 2, e 45, comma 7) di veicolare attraverso una mirata legge le modifiche intervenute ai territori dei “Liberi Consorzi comunali” e delle Città metropolitane. Anche in questo caso, evidentemente, si attribuisce all’elemento “territorio” un’accezione “costitutiva” e non certo “funzionale”.

  1. La conformità alla previsione statutaria

Ancorchè datato[21], lo Statuto della Regione Sicilia è pur sempre una norma di rango costituzionale (art. 116, comma 1, Cost.) e come tale in grado di orientare la legislazione regionale. In tale contesto, la l.r. n. 15/2005, (ri) attuativa dell’art. 15 dello Statuto speciale, appare “contra statutum” poiché, in luogo di “liberi Consorzi comunali” – come già detto enti pubblici non territoriali dotati solo di autonomia amministrativa e finanziaria sono stati istituiti enti territoriali di governo dotati non solo di autonomia amministrativa e finanziaria ma anche di autonomia impositiva e politica. Essa quindi ha ampliato decisamente la sfera di autonomia regionale, ma ciò ha fatto vulnerando non solo la lettera, quanto e soprattutto lo spirito della disposizione costituzionale statutaria, che fonda il proprio modello di organizzazione istituzionale delle autonomie locali sui soli Comuni e su articolazioni strumentali degli stessi quali sono i “liberi Consorzi comunali”, senza alcuna intenzione di alterarne preventivamente il disegno ordinamentale. La Corte Costituzionale, in proposito, ha sempre affermato che “la capacità additiva si esprime pur sempre nell’ambito dello spirito dello Statuto e delle sue finalità e – come s’è pure rilevato – nel rispetto dei principi costituzionali”[22].

Peraltro, l’Alta Corte per la Regione Siciliana[23] aveva già censurato la fictio iuris operata dal legislatore regionale[24] nella istituzione dei primi “liberi Consorzi comunali” con le caratteristiche dell’ente territoriale di governo, individuando il carattere “non consortile della provincia regionale”.

Senza considerare altresì che l’aggettivazione “libero” che precede il “Consorzio comunale”, ancorchè non esplicitata, esclude l’ipotesi che l’aggregazione consortile possa essere imposta dal legislatore. Senza il riconoscimento in capo ai singoli Comuni della libertà di autodeterminare il Consorzio a cui aderire non saremmo in presenza di un libero e volontario Consorzio, ma di un Consorzio obbligatorio che non troverebbe cittadinanza giuridico-organizzativa nell’ordinamento regionale. In questa direzione argomentativa si registra quanto già statuito dall’Alta Corte per la Regione Siciliana con la citata sentenza, secondo cui, “Tali consorzi non possono non avere origine dalla volontà dei rappresentanti comunali, ai quali spetterebbe precisare le finalità, i mezzi, gli organi pur nel quadro di una legge regionale, mentre le province regionali, sia pure con la definizione legislativa di liberi consorzi, sono istituite dalla Regione per legge che ne definisce i caratteri, i fini, gli organi, e ogni altro elemento istituzionale. L’unica facoltà lasciata ai comuni è quella di potere riunirsi, sotto date condizioni e formalità, in nuove province, e quella di poter passare da una provincia all’altra. Si tratta di una notevole facoltà, che però lascia intatto l’ordinamento prestabilito e non dà modo di instaurare il libero consorzio”.

  1. La conformità alla Costituzione

Se il “libero Consorzio comunale” così come concepito dal legislatore siciliano sembra essere in contrasto con l’art. 15 dello Statuto, resta da accertare se l’istituzione di un siffatto ente rientri nella potestà di legislazione esclusiva, in materia di regime degli enti locali e delle circoscrizioni relative, attribuita alla Regione siciliana dall’art. 14, lett. (o, del citato Statuto speciale: infatti, poiché il primo comma di detto articolo 14 dispone, tra l’altro, che tale potestà deve esercitarsi “nei limiti delle leggi costituzionali dello Stato”, il problema si sposta all’accertamento della conformità con le leggi costituzionali dello Stato.

Preliminarmente va rilevata l’anomala copertura finanziaria delle nuove funzioni amministrative, individuate dal legislatore siciliano in capo ai nuovi enti intermedi, demandata ad un’aleatoria intesta Stato-Regione[25] e la potenziale e connessa violazione dell’art. 97 della Costituzione per la considerazione che l’assenza di adeguate risorse finanziarie, in uno alla mancata individuazione delle risorse umane richieste per l’esercizio di nuove funzioni prima di competenza regionale, finisce per vulnerare il buon andamento della pubblica amministrazione.

Va quindi evidenziata la violazione dei principi della legge statale di riforma dell’ente intermedio n. 56/2014 (Delrio) sia sotto l’aspetto ordinamentale che finanziario[26]. E’ infatti impensabile che lo Stato, ancorchè con motivazioni ancora oggi non del tutto condivisibili, svuoti tutti gli enti intermedi delle Regioni a Statuto ordinario nella prospettiva di una loro espunzione definitiva dalla Carta costituzionale, e che nella Regione Siciliana si vada nelle direzione esattamente opposta: il potenziamento degli enti intermedi. La violazione concerne anche il principio di coordinamento della finanza pubblica strettamente connesso a quello ordinamentale. Lo svuotamento degli enti intermedi porterà inevitabilmente, ancorchè nel medio e lungo periodo, ad una riduzione delle relativa spesa pubblica. Invero, col potenziamento degli enti intermedi siciliani si assisterà ad un fisiologico aumento della spesa che difficilmente sarà compensato dal nuovo sistema elettivo degli organi di governo.

  1. Considerazioni finali

La qui commentata normativa regionale, potrebbe essere compatibile con i principi statutari e costituzionali invocati solo in presenza della reale formula consortile. Tale formula, come sopra argomentato, presuppone necessariamente l’assenza degli indicatori sintomatici della natura di ente territoriale di governo invero rilevati, perché solo in questo modo può realizzarsi quel raccordo funzionale, idoneo a far configurare il Consorzio comunale come struttura operativa dei Comuni che lo compongono, lasciando inalterato, in un quadro collaborativo configurato dall’esercizio congiunto di poteri attinenti comuni interessi, l’assetto delle competenze degli enti territoriali di base che nell’ordinamento siciliano sono rappresentati dai soli Comuni.

Se il legislatore siciliano voleva introdurre un ente intermedio con le caratteristiche dell’ente territoriale di governo, ancorchè dotato di organi eletti con il sistema indiretto, avrebbe dovuto seguire la strada maestra della preventiva modifica dell’art. 15 dello Statuto speciale. Viceversa, si potrebbe aggiungere la stranezza di un ente – il “libero Consorzio comunale” – che, se costituito fuori dalla Regione Sicilia è un ente strumentale dei Comuni ma non lo sarebbe se costituito entro la Regione medesima. Una tanto arbitraria distribuzione di qualificazioni farebbe torto alla ragionevolezza di qualunque sistema giuridico.

 

 (*) Funzionario Direttivo della Regione Siciliana e Cultore di Diritto Pubblico Italiano e comparato Università Kore di Enna – max@massimogreco.org


[1]Si consenta il rinvio a Massimo Greco, “Dalle Province Regionali ai Liberi Consorzi di Comuni. Riflessioni su una scelta di politica emozionale”, su “Amministrazione In cammino”, rivista elettronica di diritto pubblico, pubblicata sul web all’indirizzo www.amministrazioneincammino.luiss.it, 23/04/2012; “Anche la Sicilia avvia il riordino delle proprie Province Regionali”, su Forum di Quaderni Costituzionali, rivista di diritto pubblico pubblicata su internet all’indirizzo www.forumdiquadernicostituzionali.it, 03/04/2012; “La temuta incostituzionalità della legge istitutiva delle Province Regionali”, su “Diritto dei Servizi Pubblici”, Rivista giuridica elettronica, pubblicata su internet all’indirizzo www.dirittodeiservizipubblici.it, 22/06/2012.

[2] La sentenza della Corte Costituzionale n. 255/2014 ha reso non più operanti le norme statutarie relative alle competenze del Commissario dello Stato nel controllo delle leggi siciliane, alla stessa stregua di quanto già affermato dalla medesima Corte con riguardo alle norme statutarie riferite all’Alta Corte per la Regione siciliana (sentenza n. 38 del 1957), nonché con riferimento al potere del Commissario dello Stato circa l’impugnazione delle leggi e dei regolamenti statali (sentenza n. 545 del 1989). Di conseguenza, gli artt. 27 (per la perdurante competenza del Commissario dello Stato ad impugnare le delibere legislative dell’Assemblea regionale siciliana), 28, 29 e 30 dello Statuto  speciale non trovano più applicazione, per effetto dell’estensione alla Regione siciliana del controllo successivo previsto dagli artt. 127 Cost. e 31 della legge n. 87 del 1953 per le Regioni a statuto ordinario.

[3] La delibera del Consiglio dei Ministri del 5/10/2015 è consultabile all’indirizzo web istituzionale del Dipartimento per gli Affari Regionali, le Autonomie e lo Sport: http://www.affariregionali.it/banche-dati/dettaglioleggeregionale/?id=10264

[4] L’ordinamento degli enti locali, IPSOA, II, ed. p. 292.

[5] Corte Conti, sez. riunite in sede consultiva per la Regione Siciliana, delibera del 22/02/2012.

[6] Tar Lombardia, sent. n. 644/1993.

[7] Tar Palermo, sez. I, 04/07/2008, n. 881.

[8] Cons. Stato, sent. n. 2605/2001; Cass., ord. n. 33691/2002.

[9] Tar Palermo, sent.  19 giugno 2012 n. 1276; sent. n. 17/2014.

[10] Sez. giurisd. centr. Ap., 1-9-2001, n. 298.

[11] Sez. IV, 29/08/2002 sent. n. 4344.

[12] Cons. Stato, sent. n. 1085/2008.

[13] Si veda art. 1, comma 98, della legge n. 311/2004 e art. 1, comma 198, della legge n. 266/2005.

[14] Corte Cost. sent. n. 50 del marzo 2015.

[15] Prima delle riforma del Titolo V° la Corte Costituzionale, con sentenza n. 229/2001, qualificava le Comunità montane come “caso speciale di Unione di comuni”, che contribuiscono a comporre il sistema delle autonomia sub- regionali, per senza assurgere a enti costituzionalmente o statutariamente necessari. Con la successiva sentenza n. 43/2004, la Corte Costituzionale negava alle medesime Comunità montane la qualifica di “enti ad autonomia costituzionalmente garantita”. Con le successive pronunce nn. 244/2005, 456/2005, 397/2006, 237/2009 e 326/2010, la Corte Costituzionale sosteneva che le Comunità montane, benchè qualificate enti locali dal TUEL, non rientrano tra gli enti tassativamente elencati agli artt. 114 e 117, comma 2 lett. p).

[16] C.G.A., sent. n. 48/2009.

[17] Appare utile evidenziare che secondo le previsioni contenute nel primo disegno di legge governativo n. 812 del gennaio 2011 rubricato, Decentramento di funzioni regionali. Riforma dei liberi consorzi comunali”, e presentato all’ARS dal Presidente della Regione, On. Lombardo, su proposta dell’Assessore per le autonomie locali e la funzione pubblica, On Chinnici, i “liberi Consorzi comunali” nascevano come enti non territoriali.

[18] Cerulli Irelli.

[19] Con la legge regionale 8 marzo 2012, n. 14, rubricata “Norme concernenti le funzioni e gli organi di governo delle province regionali”, l’Assemblea Regionale Siciliana dava il suo primo contributo all’esigenza di rivedere l’organizzazione dell’ente intermedio. Il 1° comma dell’articolo unico così recita: “Nel quadro di un riassetto complessivo delle funzioni amministrative spettano alle province regionali funzioni di indirizzo e di coordinamento delle attività dei comuni nelle materie e nei limiti indicati con legge regionale entro il 31 dicembre 2012”. Mentre il 2° comma del medesimo articolo dispone che “Con la legge di cui al comma 1, si procederà al riordino degli organi di governo delle province regionali, assicurando che da tali disposizioni derivino significativi risparmi di spese per il loro funzionamento. La legge individua gli organi di governo della provincia regionale e disciplina la loro composizione e le modalità di elezione. La composizione degli organi collegiali viene determinata in rapporto alla popolazione residente e comunque in misura tale da garantire una riduzione di almeno il 20% rispetto ai limiti previsti dalla legislazione vigente”. Questa legge, dal carattere programmatico, non ha avuto seguito avendo il legislatore optato per l’attuazione testuale dell’art. 15 dello Statuto siciliano che, com’è noto, non prevede le Province ma i “liberi Consorzi comunali”.

[20] Corte Cost. sent. n. 876/1988.

[21] Lo Statuto speciale della Regione Sicilia è stato approvato con D.L. 15/05/1946 n. 455, convertito in legge costituzionale 26/02/1948 n. 2.

[22] Corte Cost. nn. 212/1984, 213/1998.

[23] Alta Corte per la Regione siciliana, sent. 21/07/1955 – 4/10/1955 n. 90.

[24] In seguito alla legge regionale del 18 marzo 1955, n. 17, con la quale venne delegata al governo della Regione la potestà di emanare norme per il nuovo ordinamento degli enti locali, il Presidente della Regione, nei termini e nelle forme fissate da detta delega, adottò il 16 giugno 1955 il decreto legislativo di approvazione delle “norme sul nuovo ordinamento amministrativo degli enti locali nella Regione Siciliana”.

[25] L’art. 27, comma 4, della l.r. n. 15/2015 prevede che “Ai fini dell’individuazione delle risorse necessarie per il finanziamento delle funzioni attribuite ai liberi Consorzi comunali ai sensi del presente articolo, il Presidente della Regione, previa delibera di Giunta, previo parere della Commissione Affari istituzionali e della Commissione Bilancio dell’Assemblea regionale siciliana, emana uno o più decreti, sulla base di un’intesa con i competenti organi dello Stato in ordine alla definizione dei rapporti finanziari tra lo Stato e la Regione, allo scopo di assicurare lo svolgimento dei compiti istituzionali dei liberi Consorzi comunali”.

[26] La legge n. 56 del 7 aprile 2014 all’art. 1, comma 145, così dispone: “Entro dodici mesi dalla  data  di  entrata  in  vigore  della presente legge, le regioni a statuto speciale Friuli-Venezia Giulia e Sardegna e la Regione siciliana adeguano i propri ordinamenti interni ai principi della medesima legge”.

Massimo Greco

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