25 luglio 1943: cade il fascismo. Il testo dell’ordine del giorno Grandi

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Settant’anni fa cadeva il fascismo. Il 25 luglio 1943 è il giorno in cui cambiò la storia d’Italia: Benito Mussolini venne sfiduciato dal Gran Consiglio del Fascismo, l’organo di regime divenuto statale nel 1928, che deliberava sui rappresentanti alla Camera e sulle questioni di carattere istituzionale. 

Erano passati tre anni dalla discesa in guerra dell’Italia a fianco della Germania e quella che doveva essere una cavalcata trionfale sull’onda della blitzkrieg hitleriana si stava rivelando un massacro sempre più vasto, con l’asse Roma-Berlino sempre più indebolita e ormai alle corde. Il 19 luglio, pochi giorni prima, si era consumato lo smacco più grave per il duce dall’inizio delle ostilità: il primo bombardamento di Roma ad opera degli Alleati.

Insomma, la strategia del Duce era stata duramente sconfitta: lanciare in un conflitto internazionale una potenza contraddittoria come l’Italia si era dimostrato un errore irreparabile. La fiducia riposta nelle truppe di Hitler rimaneva un clamoroso abbaglio e, ormai, l’Europa intera era messa a ferro e fuoco da una guerra apparentemente senza via d’uscita. La popolazione italiana, ormai stremata, sfiduciata e impoverita, iniziava ad alzare la voce, con scioperi e manifestazioni di protesta in chiave antifascista.

Così, a ventuno anni di distanza dalla marcia su Roma, un Mussolini ormai in declino venne deposto dai suoi stessi gerarchi, proprio quelli che, negli anni di dittatura, si era premurato di selezionare e nominare accuratamente, allontanando, tra loro, quelli più critici, preferendo gli yesman più fidati, coloro, cioè, che concorsero alle assurde decisioni negli anni più bui del regime: su tutte, naturalmente, l’approvazione delle leggi razziali.

Quella sera, il 24 luglio 1943, però, la misura era colma anche per i fedelissimi di Mussolini: e fu così che, con un escamotage degno della miglior tattica politica del Novecento, venne portato all’ordine del giorno della seduta un punto per disarcionare il capo del governo, su proposta del presidente della Camera dei Fasci e delle Corporazioni, nonché alleato di ferro del Duce, Dino Grandi.

Come molti storici confermano, dietro all’operazione c’era la regia del re Vittorio Emanuele III. In quella drammatica riunione, alla luce di una situazione senza sbocchi, Grandi non fece mistero di vedere nel passaggio delle funzioni di comandante in capo da Mussolini al sovrano l’unica soluzione praticabile. Del resto, il ricorso al Gran Consiglio del Fascismo – che non veniva convocato dal 1939 – si era reso obbligatorio proprio per ripristinare l’articolo 5 dello Statuto Albertino, che affidava in mano al re le funzioni demandate all’autocrate romagnolo.

Nel corso di un dibattito fiume, che si protrasse fino a notte fonda, si cercò di destituire il Duce rimarcando le promesse mancate della Germania, senza mai accusare direttamente Mussolini, ma mettendo in luce tutti gli errori della sua linea politica e di gestione del conflitto. In sostanza, il Gran Consiglio del Fascismo riconosceva ufficialmente al duce l’assoluta responsabilità di aver trascinato l’Italia nel conflitto, affidandosi all’abbraccio mortale dei nazisti, sempre più vicini allo sfacelo.

Arrivò a notte fonda, per l’assemblea, il momento del redde rationem: addirittura Galeazzo Ciano, genero di Mussolini e già ministro degli Esteri, votò a favore della restituzione dei poteri al Re, voltando le spalle al fondatore del fascismo nonché suo suocero. In conclusione, furono 19 i voti a favore ella mozione contro i soli 8 contrari.

Di buon mattino, il 25 luglio, Mussolini si recò da Vittorio Emanuele, che gli rese nota la sua sostituzione con il maresciallo Badoglio. La popolazione accolse la notizia con soddisfazione, sperando in una conclusione rapida dei combattimenti. In realtà, la scia di sangue doveva ancora lasciare il suo segno più tragico sullo Stivale: l’Italia si avviava irrimediabilmente verso l’imbuto della guerra civile.

 

Ecco il testo dell’ordine del giorno di Dino Grandi, portato alla seduta del Gran Consiglio del Fascismo il 24 luglio 1943:

Il Gran Consiglio del Fascismo,
riunendosi in questi giorni di supremo cimento, volge innanzitutto il suo pensiero agli eroici combattenti di ogni arma che, fianco a fianco con la fiera gente di Sicilia in cui più alta risplende l’univoca fede del popolo italiano, rinnovano le nobili tradizioni di strenuo valore e d’indomito spirito di sacrificio delle nostre gloriose Forze Armate.
Esaminata la situazione interna e internazionale e la condotta politica e militare della guerra;

Proclama
il dovere sacro per tutti gli italiani di difendere ad ogni costo l’unità, l’indipendenza, la libertà della Patria, i frutti dei sacrifici e degli sforzi di quattro generazioni dal Risorgimento ad oggi, la vita e l’avvenire del popolo italiano;

Afferma
la necessità dell’unione morale e materiale di tutti gli italiani in quest’ora grave e decisiva per i destini della Nazione;

Dichiara
che a tale scopo è necessario l’immediato ripristino di tutte le funzioni statali, attribuendo alla Corona, al Gran Consiglio, al Governo, al Parlamento, alle Corporazioni, i compiti e le responsabilità stabilite dalle nostre leggi statutarie e costituzionali;

Invita
il Governo a pregare la Maestà del Re, verso il quale si rivolge fedele e fiducioso il cuore di tutta la Nazione, affinché egli voglia, per l’onore e la salvezza della Patria, assumere, con l’effettivo comando delle Forze Armate di terra, di mare e dell’aria, secondo l’articolo 5° dello Statuto del Regno, quella suprema iniziativa di decisione che le nostre Istituzioni a lui attribuiscono, e che sono sempre state in tutta la nostra storia nazionale il retaggio glorioso della nostra augusta Dinastia di Savoia

Roma, 24 luglio 1943

Dino Grandi – Presidente della Camera

Seguono le altre 18 firme a favore :
Giuseppe Bottai, Luigi Federzoni, Galeazzo Ciano, Cesare Maria De Vecchi, Alfredo De Marsico, Umberto Albini, Giacomo Acerbo, Dino Alfieri, Giovanni Marinelli, Carluccio Pareschi, Emilio De Bono, Edmondo Rossoni, Giuseppe Bastianini, Annio Bignardi, Alberto De Stefani, Luciano Gottardi, Giovanni Balella e Tullio Cianetti che il giorno dopo scrisse a Mussolini ritrattando il suo voto;

le 8 firme contrarie :
Carlo Scorza, Roberto Farinacci, Guido Buffarini-Guidi, Enzo Galbiati, Carlo Alberto Biggini, Gaetano Polverelli, Antonino Tringali Casanova, Ettore Frattari;

l’unica firma di voto astenuto : Giacomo Suardo.

Francesco Maltoni

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