Riforma condominio, come cambiare destinazione e uso delle parti comuni

Redazione 22/11/12
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La riforma del condominio è diventata legge, dopo un cammino periglioso che ne ha visto ridisegnare il profilo nei passaggi tra le Camere. Nelle parti più discusse, va calcolata indubbiamente la nuova normativa che regola le destinazioni d’uso delle parti comuni, da sempre uno dei più frequenti casus belli tra vicini di pianerottolo.

Come noto, la riforma entrerà ufficialmente in vigore solo sei mesi dopo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, per adeguare le strutture esistenti alla nuova disciplina, ma quella delle finalità di utilizzo è una novità cruciale, in grado di accrescere, o – all’occorrenza – diminuire il valore stesso di uno o più appartamenti.

La riforma del condominio, lo ricordiamo, non è una vera e propria legge di nuova creazione, ma consta in una collana di interventi chirurgici, che vanno a toccare gli articoli dal 1117 al 1138 del Codice civile, più il 61 e seguenti delle rispettive disposizioni attuative.

Ed è proprio nella nuova formulazione dell’articolo 1117 ter e quater del Codice che viene spiegato come cambiano le modalità di decisione e di applicazione, riguardo usufrutto ed eventuali modifiche strutturali di parti comuni e le possibilità di ricaduta sui singoli condòmini.

Adesso, al centro decisionale non è più il singolo residente, ma l’assemblea, che diviene così l’organo attorno a cui ruotano le scelte di maggiore rilevanza per la vita quotidiana degli abitanti.

A differenza, però di quanto previsto per le decisioni ordinarie – dove è necessario un quorum di votanti favorevoli della maggioranza dei presenti e rappresentativa, a seconda che si tratti di prima o seconda convocazione, di metà o un terzo dei millesimi – per apportare modifiche alle parti comuni il numero dei votanti accondiscendenti dovrà raggiungere i quattro quinti, sia degli inquilini che delle metrature rappresentate.

Inoltre, a differenza delle convocazioni usuali, che richiedono 5 giorni di preavviso, nel caso sia inserita, in ordine del giorno, una proposta di cambiamento di una destinazione d’uso di un’area soggetta a condivisione, l’annuncio dell’assemblea dovrà essere divulgato non meno di 30 giorni in anticipo, per darne la massima diffusione possibile tra gli interessati.

Soggette a queste nuove regole sono, ad esempio, le costruzioni di capanne o box adibiti a parcheggio, oppure adibire un passaggio pedonale ad automobilistico o viceversa, o, ancora, l’edificazione in cortile di un gazebo a uso collettivo.

Oltre a questi esempi pratici, resta la possibilità di cambiare, a maggioranza, parti specifiche del regolamento condominiale o di quanto definito nei titoli d’acquisto riguardo le specifiche finalità di sfruttamento.

E nell’eventualità di esercizio di una destinazione avversa ai principi di destinazione sanciti in assemblea? Cade la distinzione tra violazione della destinazione prevista – e dunque la realizzazione di interventi non previsti sulla carta – oppure di sfruttamento non conforme alle regole. 

In entrambe le situazioni, nel qual caso una delibera finisca, all’atto pratico, per arrecare un danno al singolo inquilino, o, in alternativa, al condominio tout court, è possibile citare in giudizio il soggetto responsabile del comportamento ritenuto lesivo.

Sarà, in primis, l’assemblea condominiale a doversi esprimere sulle sorti di questa attività, che, comunque, richiederà maggioranza assoluta di presenti e millesimi per essere certificata come illecita.

Leggi il testo finale della riforma del condominio

Vai allo speciale riforma condominio 2012

 

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