Ecofin, intesa raggiunta sulla Tobin Tax. Fmi: allarme fuga di capitali

Redazione 11/10/12
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Un nuovo spettro si aggira per l’Europa, non è più quello di marxiana memoria anche se vi si può scorgere una sorta di – sia pur remota – parentela. Si tratta della cosiddetta Tobin Tax, la tassa sulle transazioni finanziarie proposta per la prima volta dall’economista Premio Nobel James Tobin, professore alla Yale University, nel 1972 e definita dallo stesso come un moderno “Mostro di Lochness”, in quanto destinata a scomparire e riapparire periodicamente nel dibattito dell’economia politica contemporanea.

Alla riunione dei Ministri dell’economia e delle finanze dell’Unione europea tenutosi a Lussemburgo il 9 ottobre, il vertice Ecofin, 11 Stati membri, tra cui l’Italia, hanno dichiarato la loro disponibilità all’introduzione congiunta della Tobin Tax. Sono due in più dei 9 necessari per attuare l’istituto della “cooperazione rafforzata” che, previsto dai Trattati Ue, impedisce agli Stati membri contrari (Gran Bretagna in testa) di porre il veto sull’iniziativa. Opposizione, quella del Regno Unito, motivata dal fatto che l’“industria finanziaria” (se di tale industria si può parlare) è un pilastro di quella economia nazionale. Per dare un metro di paragone, le tre borse valori più importanti al mondo per dimensioni dei capitali quotati, Wall Street (New York), la City (Londra) ed Hong Kong, rappresentano da sole il 90 delle transazioni finanziarie mondiali.

La proposta originaria formulata dalla Commissione europea, presentata a settembre 2011, riguardava l’86% delle transazioni tra istituti finanziari (compresi derivati, fondi d’investimento e hedge fund) e prevedeva due aliquote minime: lo 0,1% sugli scambi di azioni ed obbligazioni e lo 0,01 da applicare a quelli sui derivati, ferma restando la possibilità, per i singoli Stati, di applicare anche aliquote superiori. Gli introiti che la Commissione stimava di ottenere a livello Ue erano stimati intorno ai 57 miliardi di euro annui, cifra che andrà ora ridimensionata di non poco, dato che resteranno fuori dal sistema Paesi Ue con borse importanti come Inghilterra e Svezia, oltre a Irlanda ed Olanda che fanno parte dell’Eurozona.

La nuova proposta al vaglio della Commissione, per limitare i rischi di delocalizzazione dei capitali, prevede per la Tobin Tax l’applicazione  a qualunque transazione (effettuata anche extra Ue) riguardante almeno una istituzione finanziaria di uno degli 11 Paesi partecipanti alla “cooperazione rafforzata”. La Commissione attende a giorni, entro la metà di ottobre, le lettere formali di accettazione della cooperazione rafforzata da parte degli ultimi quattro Stati aderenti (Italia, Spagna, Slovacchia ed Estonia), per poi esprimere la propria valutazione giuridica sulla fattibilità dell’iniziativa. Dopo il varo al nuovo vertice Ecofin di novembre, sarà sufficiente la maggioranza qualificata dei 27 membri Ue per consentire agli 11 di procedere nella “cooperazione rafforzata”.

Ma la tassa ideata dal professor Tobin non poteva vedere la luce, probabilmente, in un momento peggiore di quello attuale, almeno per quanto riguarda i Paesi più in difficoltà dell’area euro. È, infatti, proprio di questa mattina l’allarme lanciato dal Fondo monetario internazionale sulla fuga di capitali in atto da Stati sotto attacco speculativo come l’Italia, che tra il giugno 2011 ed il giugno 2012 ha visto allontanarsi oltre frontiera 235 miliardi di euro (il 15% del nostro Pil), e la Spagna, con 296 miliardi di euro (pari al 27% del Pil). Finché Italia e Spagna continueranno ad essere in tal modo sotto pressione, l’intera area della moneta unica continuerà ad essere considerata dai mercati come la principale minaccia all’economia mondiale e la speculazione continuerà ad attaccare. Situazione tanto più paradossale in quanto, se unita, l’Unione europea a 27 sarebbe in cifre assolute la regione più ricca del mondo.

L’obiettivo primario, dunque, ancora oggi come dall’inizio della crisi del dei debiti sovrani europei nel 2010, rimane ripristinare una duratura fiducia dei mercati verso l’area euro. A questo proposito il relatore del documento del Fmi, Josè Vinas, Financial counsellor e director dell’istituto, ha plaudito al Piano Draghi per gli acquisti illimitati di bond da 1 a 3 anni da parte della Bce e alla definitiva operatività del Mes, il Meccanismo europeo di stabilità. Tuttavia entrambi “devono essere considerati dai mercati come reali e non virtuali”, oltre ad essere accompagnati ad una “condizionalità credibile”. Come dire, lo scudo anti-spread c’è, ma finora nessuno lo ha chiesto. E proprio per questo più di qualcuno inizia a sospettare che, forse, non sia così forte come lo si è dipinto fino ad oggi…

Una notizia importante, giunta al termine di una giornata che ha visto le borse europee andare moderatamente male e l’euro perdere terreno rispetto al dollaro attestandosi a quota 1,29, viene dal governatore della Banca di Francia Christian Noyer: “Se vogliamo spezzare il legame tra rischio sovrano e banche, dobbiamo trasformare il sistema bancario in un sistema bancario dell’Eurozona. Parole tanto più importanti in vista di un’unione bancaria che taglierebbe le radici ad una delle principali cause della crisi dei debiti sovrani, in quanto provenienti dal governatore della banca centrale di un Paese come la Francia, tradizionalmente gelosissimo della propria sovranità, anche economico-finanziaria.

Resta il fatto che, sia pur faticosamente, il cammino dell’integrazione europea procede, come dimostra anche la tassa sulle transazioni finanziarie. Secondo alcuni inutile, secondo altri addirittura dannosa, in realtà non è tanto per la Tobin Tax che i capitali continuerebbero a scappare (tanto è vero che fino ad oggi sono fuggiti in massa, nonostante la tanto contestata tassa non ci fosse), ma per i problemi interni di governance e di mancanza di visione e lungimiranza politica dell’Eurozona, non più considerata sicura.

Il vero problema della Tobin Tax è che, per essere pienamente efficace, dovrebbe essere attuata a livello globale, così come nei progetti del suo creatore, che intendeva con essa bloccare la speculazione, stabilizzare i mercati ed utilizzare il gettito da essa derivante per obiettivi di sviluppo e cooperazione globale (sanità, istruzione, ambiente). O, perlomeno, da un consistente novero di aderenti. Se attuata da un singolo Paese o da pochi Paesi con aliquote differenti, essa finirebbe anzi con l’aumentare la speculazione e con essa l’instabilità. Per questo sarebbe fondamentale che, partendo dal nucleo originario degli 11 Paesi attualmente sottoscrittori, si raccogliesse un consenso sempre più ampio, anche al di fuori dell’Unione europea. Ma al momento dobbiamo accontentarci che a contrapporsi allo strapotere della finanza, per poi sottrarre ad essa solo una piccolissima percentuale dei suoi guadagni, sia un pugno di Stati. E con la speranza che non siano troppo pochi.

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