Bce: la lunga strada per salvare l’euro

Redazione 10/09/12
È ancora presto per dire se la giornata di giovedì 6 settembre 2012 sarà ricordata come quella decisiva per salvare le sorti della moneta unica europea. Quel che, a caldo, si può affermare con sicurezza è che il Consiglio direttivo della Banca centrale europea, presieduta dall’italiano Mario Draghi (e mai come in questi giorni i suoi avversari – in primo luogo Jens Weidmann, Presidente della Bundesbank – ne stanno sottolineando con malizia l’appartenenza nazionale), ha preso a larga maggioranza (con il voto contrario della sola Banca centrale tedesca) una serie di misure decisive per la stabilizzazione degli spread. Siamo, probabilmente, alla “soluzione finale” che fa veramente dell’euro un progetto irreversibile, come è stato finora più volte ripetuto ai più alti vertici delle istituzioni comunitarie.

L’“arma fine di mondo”, che chiude definitivamente la partita ad ogni ipotesi di speculazione sulla disintegrazione dell’Eurozona, è la decisione di mettere a disposizione degli Stati membri in difficoltà un pacchetto di aiuti per “acquisti illimitati” sul mercato secondario di Titoli di Stato con scadenze brevi, fino ai tre anni di durata. Ma è quasi certo che l’intervento determinerà un effetto indiretto di benefico calmieramento anche sui titoli a più lunga scadenza. Vedendo scendere i rendimenti dei bond di breve durata, gli investitori sarebbero invogliati a concentrarsi su quinquennali, decennali e trentennali per avere maggiori interessi, finendo così per abbassare – con un effetto a catena – anche questi ultimi tassi.

Il nome tecnico dell’operazione è Omt (Outright monetary transactions, traducibile con “operazioni monetarie dirette”). Con una certa abilità, per schivare i giustificati timori dei Paesi virtuosi del Nord Europa di dover pagare i debiti altrui (ricordate la favola della formica e della cicala? In Germania, Olanda e Finlandia è ben presente all’opinione pubblica…), Mario Draghi è riuscito a vincolare gli acquisti della Bce alle condizionalità imposte dalla richiesta di aiuti ai Fondi Salva-Stati, il pensionando Efsf (European financial stability facility) ed il Mes (Meccanismo europeo di stabilità) in procinto di prenderne il posto. Il piano di assistenza è vincolato alla sigla di un protocollo d’intesa, in cui vengono dettagliate le condizioni del prestito sulla base della situazione economico-finanziaria dello Stato richiedente. Commissione europea, Bce e Fondo monetario internazionale (la “Troika”) sono incaricate di vigilare sul rispetto delle condizioni contenute nel protocollo stesso, pena la cessazione del piano di aiuto. L’eventuale coinvolgimento del Fmi non implicherebbe, tuttavia, condizioni extra rispetto a quelle previste dal Vertice Ue di fine giugno e dalle linee guida dei Fondi Salva Stati, dando solo un contributo di natura tecnica qualificata.

La natura condizionata dell’assistenza ha determinato il fondamentale appoggio al “Piano Draghi” da parte di Angela Merkel (per cui è imprescindibile che “aiuto, controllo e condizioni vadano mano nella mano”) e del suo potente Ministro delle finanze, Wolfgang Schäuble. La Cancelliera, prendendo posizione contro buona parte dell’opinione pubblica tedesca, della Bundesbank e di settori della sua stessa maggioranza, ha dato un assist strategico alla linea dell’Eurotower di Francoforte.

Il tanto discusso “scudo anti-spread” è operativo ed ormai ben delineato. Finora, però, nessuno lo ha chiesto. È evidente che la paura di un commissariamento da parte dalla Troika “in stile Grecia” è ben presente ai Governi di Spagna e Italia, così come la volontà di evitare il marchio infamante dello “Stato salvato”. Ma la sola presenza dello “scudo” è già di per sé un elemento di grande stabilità.

Infatti, l’artificiosità degli attuali livelli di spread (i differenziali di rendimento con i granitici Bund tedeschi a dieci anni) ed il loro mancato rispecchiamento dei fondamentali dell’economia dei singoli Paesi è stata dimostrata dal fatto che è bastato che Draghi annunciasse soltanto il pacchetto di aiuti della Bce – peraltro, come dicevamo, non automatico – perché si determinasse un loro tracollo immediato.

Come per ogni grande crisi, alla base c’è un forte fattore dovuto ad una distorta percezione della realtà. L’aspetto psicologico dell’incertezza, nel caso dell’Europa non meno che in tutti gli altri, ne è una componente fondamentale. Ma anche la sola certezza dell’esistenza di un’arma concreta e potente è, spesso, la migliore garanzia per non usarla: più quest’arma appare forte e credibile, meno saranno le possibilità che i suoi nemici (in questo caso gli speculatori o, meglio, la speculazione) siano tentati di sperimentarne davvero l’efficacia. Per questo motivo l’annuncio di Draghi ha avuto un effetto deterrente importantissimo.

La Bce è l’istituzione dell’Unione indipendente per eccellenza dal potere politico dei singoli Stati ed ha ora conseguito quello status che ancora le mancava per essere a tutti gli effetti una Banca centrale sul modello della Federal Reserve statunitense: quello di prestatrice di ultima istanza dei Paesi membri dell’area euro.

È veramente finita? Per dirlo con sicurezza è necessario attendere ancora qualche giorno, fino a mercoledì 12 settembre, quando la Corte costituzionale tedesca si pronuncerà sulla compatibilità del Mes con la Carta fondamentale della Germania. Il sì della Corte è considerato quasi certo, ma se c’è una cosa che questa crisi economica europea ci ha insegnato è che non bisogna mai dare nulla per scontato. Un eventuale rigetto del Meccanismo europeo di stabilità significherebbe automaticamente uno stop per il “Piano Draghi” di acquisti di bond sovrani, determinando di nuovo una situazione di instabilità ed incertezza diffusa come quella anteriore al Vertice Ue di fine giugno, con conseguenze drammatiche, dato il messaggio che bisognerebbe ricominciare tutto da capo, con il tempo ormai prossimo ad esaurirsi.

In Italia, intanto, a fare da contraltare alle grandiose manovre che si stanno verificando a livello europeo, rimane il desolante teatrino della politica nostrana. Mentre a livello internazionale, in un pugno di mesi, sono state prese decisioni che cambieranno per sempre il volto dell’Europa, in Italia i partiti non sono ancora nemmeno riusciti ad accordarsi su un fondamentale come quello per una nuova legge elettorale che garantisca migliore governabilità e la fine delle liste bloccate e decise in toto dalle segreterie. Confermando il sospetto che, in fondo, l’attuale “Porcellum” faccia comodo a tutti…

A ricordare agli Italiani che la vera battaglia si gioca in Europa lo ricorda il Premier Mario Monti che, subito dopo aver sottolineato che sull’evasione fiscale il nostro Paese deve combattere una “guerra di civiltà”, ha proposto per Capi di Stato e di Governo del Vecchio Continente un vertice sul futuro dell’architettura politica europea, trovando fin da subito l’entusiastica approvazione del Presidente del Consiglio Ue, il belga Herman van Rompuy. Tale vertice, se confermato, si terrà significativamente a Roma al Campidoglio, là dove furono firmati i Trattati di Roma nel marzo del 1957  e dove, sulle ceneri della Seconda Guerra Mondiale ed ancora in piena Guerra Fredda, vennero gettate le basi per la convivenza pacifica e civile dei popoli europei.

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