Il diritto ai tempi dei social network: l’eredità digitale

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Proseguendo il percorso avviato in precedenza, in relazione alle nuove sfide che l’era post-digitale presenta al diritto moderno, si partirà nuovamente da Facebook per affrontare un tema tanto importante, quanto poco considerato: la sorte della nostra vita on line, allorché sarà cessata quella reale.

Posto, infatti, che ormai la nostra attività virtuale si sovrappone sempre più a quella reale, intersecandosi in maniera stringente, l’eredità digitale è un argomento che necessita di maggiore attenzione e che solleva notevoli interrogativi, di cui, però, si parla troppo poco, sebbene si siano avviate le prime indagini conoscitivi. Trattasi di un tema ancora giovane e rispetto al quale è praticamente assente una legislazione speciale significativa, se si pensa che negli stessi Stati Uniti solo cinque Stati hanno emanato atti normativi pertinenti; ma, soprattutto, come buona parte delle innovazioni degli ultimi anni, fatica ad uscire dalle elucubrazioni di nicchia degli esperti, risultando un esimia sconosciuta alla maggioranza degli utenti. Circostanza che rende piuttosto urgente un interesse delle Istituzioni Legislative e Governative, al fine di impostare una disciplina giuridica soddisfacente e confacente alla tutela degli individui. Può ritenersi, d’altronde,  il diritto delle successioni odierno adeguato alle nuove esigenze? La domanda è, ovviamente, retorica, tuttavia, fino alla produzione di nuove leggi in merito, è con esso che dobbiamo confrontarci.

Partiamo nuovamente da Facebook, in quanto costituisce, ancora una volta, un ottimo esempio. Salvo cambiamenti futuri, esso rappresenta il social network più utilizzato e, perciò, quello in cui vengono riversate più informazioni in assoluto e della più varia natura: pensieri, foto, video, note, opinioni, una vera identità digitale, alternativa e cumulativa con quella reale. Le cui ramificazioni continuano, peraltro, ad espandersi, poiché viene sovente usato anche per fare il login su diversi siti esterni ad esso, i quali consentono di usare il profilo Facebook per effettuare l’accesso, piuttosto che richiedere la registrazione o iscrizione (per esempio Slideshare): ciò incrementa notevolmente la nostra presenza in linea, senza però considerarlo magari un nuovo account di cui tenere traccia scritta, se non nell’elenco delle applicazioni autorizzate. Cosa accade al proprio profilo in caso di morte? Agli inizi gli iscritti erano quasi totalmente molto giovani, sicché il sito si pose il problema solo con l’aumento degli iscritti anziani e soprattutto dopo la sparatoria del VirginiaTech nel 2007. Originariamente, la prima soluzione fu quella di cancellare l’account non appena il Facebook team ne avesse notizia, tanto che si invitavano gli utenti ad effettuare apposite segnalazioni circa la morte dei propri contatti. In seguito, in ragione della richiesta di conservare la memoria virtuale delle vittime della citata sparatoria, la governance del social network optò per la creazione dei “mausolei virtuali”. E’ attualmente previsto, infatti, il potere per amici, parenti o conoscenti del defunto di richiedere, tramite apposito form, la trasformazione del profilo in unaccount commemorativo”; in alternativa, è possibile richiedere la cancellazione del profilo e dei relativi dati (dimostrando, com’è ovvio, il rapporto di parentela o di rappresentanza legale). Non è, invece, consentito neanche ai parenti chiedere la liberazione dei dati stessi, se non in virtù di un provvedimento dell’Autorità Giudiziaria ovvero su specifico mandato del titolare del profilo, sottoscritto in vita da quest’ultimo.

Tutto questo induce le prime riflessioni. Esiste un diritto indisponibile all’oblio virtuale in caso di morte? Quali interessi verrebbero in rilievo se il defunto fosse un minore? Il rimedio migliore è certamente il “testamento digitale”: lasciando specifiche istruzioni sulla sorte dei nostri dati, ad esempio nominando un esecutore testamentario ovvero informando in vita gli eredi circa l’identità, il numero e i dati d’accesso dei nostri account. Adottando cioè lo stesso strumento messo a disposizione dall’ordinamento tramite il testamento ordinario. Tuttavia, non tutti redigono o vogliono redigere testamento: dunque, si apre il problema di come gestire la “morte virtuale” in assenza di dichiarazioni scritte. Può ritenersi che la mancata espressione delle ultime volontà autorizzi gli eredi o aventi causa a decidere liberamente? Se la legge a tale domanda risponde di no nella vita reale, in quanto nell’ordinamento italiano, in assenza di testamento, si applica un’apposita disciplina che pone dei limiti alle scelte degli eredi, perché dovrebbe essere diverso per la vita virtuale? Per quanto si possa applicare in via analogica, ossia per similitudine, la normativa del codice civile in materia di successioni ereditarie reali, essa non può chiaramente ritenersi adeguata al diverso ambito della vita digitale; almeno, non del tutto, semmai possono trarsi dei principi generali. Ecco perché si rende assolutamente necessario un intervento normativo in questo settore.

In assenza di disposizioni testamentarie, possono lasciarsi liberi gli eredi di creare un mio mausoleo virtuale, negandomi il diritto all’oblio? O viceversa, cancellare ogni traccia di me, negandomi il diritto alla visibilità? O più semplicemente, il defunto potrebbe aver manifestato solo oralmente l’intenzione di mantenere esistenti i propri account in caso di morte, ma ciononostante gli eredi potrebbero disconoscere tale sua volontà, sol perché non posta per iscritto: in questo caso, potrebbe riconoscersi, ad esempio, al Pubblico Ministero, un potere-dovere di intervento per tutelare un diritto indisponibile? Soprattutto, altro esempio, ove si tratti di un minore (magari non necessariamente defunto, ma in coma irreversibile)? In conclusione: dovrebbe esistere una disciplina ponderata ed organica che regoli le sorti dell’identità e dell’eredità virtuali in assenza di specifiche indicazioni del trapassato?

Allargando la questione all’elevato numero di account e profili che ognuno di noi ha sparso nel web (personalmente, per esempio, ne ho appuntati più di trenta, mentre di alcuni ho perso traccia, perché temporanei oppure per incuria nel segnarli per iscritto, quindi chissà quanti sono), la risposta dovrebbe essere positiva. Le tracce che, ormai, lasciamo quotidianamente sulla Rete sono innumerevoli e rivestono un’importanza indescrivibile. Con le e-mail si intrattengono rapporti commerciali, nell’account di posta elettronica vi sono segni delle relazioni sentimentali tramite le missive romantiche, sui siti di cloud storage come Dropbox vi sono scritti, fotografie, interi pezzi della nostra vita, sui social network ci sono testimonianze delle nostre interazioni sociali.

Non basta già questo per avviare una discussione profonda e proficua sui diritti ereditari digitali?

Per chi voglia approfondire la tematica della c.d. Digital afterlife, consiglio la lettura di questo saggio di Jason Mazzone University of Illinois College of Law 2012

Francesco Minazzi

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