In Sicilia, con buona pace di Goethe, è sempre tutto più complicato

Massimo Greco 09/07/12
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 “E’ la Sicilia la chiave di ogni cosa” (Goethe)

La riduzione della spesa pubblica meglio conosciuta, come spending review, articolata nel recentissimo decreto legge n. 95 del 6 luglio 2012, prevede, tra le tantissime disposizioni normative tutte meritevoli della massima attenzione, la riduzione delle Province e la contestuale istituzione di n. 10 Città Metropolitane. Non potendo il legislatore statale intervenire sull’ordinamento degli enti locali delle Regioni ad autonomia speciale, il Governo Monti invita le stesse, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del medesimo decreto, ad adeguare i propri ordinamenti ai principi espressi nella novella diposizione normativa, che costituiscono principi dell’ordinamento giuridico della Repubblica nonché fondamentali principi di coordinamento della finanza pubblica.

Orbene, senza entrare nel merito della portata giuridica di tale norma, atteso il limite delle norme statali auto qualificate e/o auto dichiarative più volte censurato dalla Corte Costituzionale, ciò che va con immediatezza evidenziato è l’impossibilità di applicare i citati principi nell’ordinamento siciliano. Infatti, anche se il legislatore regionale volesse adeguarsi, così rispettando l’ennesima “raccomandazione-ricatto” del Governo Monti, troverebbe un ostacolo insormontabile nell’art. 15 dello Statuto siciliano che, oltre a non contemplare le Province come tradizionalmente intese nel resto d’Italia, non fa alcun cenno delle Città Metropolitane.

In particolare, mentre per l’ente intermedio l’Assemblea Regionale Siciliana decise nel 1986 di sfidare la Corte Costituzionale aggirando il citato art. 15 dello Statuto, istituendo solo formalmente i Liberi Consorzi di Comuni, denominati “Province Regionali”, e dotandoli, oltre che di autonomia amministrativa e finanziaria, anche di autonomia politica, per le Città Metropolitane il meccanismo è rimasto inceppato. Al tentativo del Governo regionale di istituire le Città Metropolitane di Palermo, Catania e Messina è infatti seguito nel 1997 un contenzioso amministrativo prima e costituzionale dopo che, sostanzialmente, ha finito col sancire il principio che nell’ordinamento siciliano le Città Metropolitane non possono trovare ospitalità se non nelle forme “funzionali” e di “coordinamento” delle funzioni di area vasta di competenza comunale.

In sintesi, mentre nel resto d’Italia Province e Città Metropolitane sono, per espressa previsione costituzionale, enti territoriali di governo dotati di autonomia politica ed equi ordinati rispetto agli altri livelli istituzionali (Comuni, Regioni e Stato), in Sicilia, in presenza di un’immutata previsione statutaria, l’unico ente territoriale di governo è il Comune. I Liberi Consorzi di Comuni, per quanto furbescamente denominati Province Regionali, e le individuate Città Metropolitane di Palermo, Catania e Messina, non potranno che essere solamente estensioni funzionali e coordinate dei Comuni per la gestione associata di funzioni amministrative e/o servizi pubblici locali di area vasta.

Corollario di questa avvertenza è che se non si mette mano allo Statuto siciliano, qualsiasi tentativo di riformare il sistema delle autonomie locali, in coerenza con l’evoluzione ordina mentale in corso nel resto d’Italia e con gli evocati principi di contenimento della finanza pubblica contenuti nella spending review, rischia, in qualsiasi momento, ed anche a distanza di numerosi anni, di essere travolto dalla Corte Costituzionale.

Massimo Greco

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