Detenuto suicida, la guardia carceraria risponde di omicidio colposo

Redazione 21/02/12
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Se un detenuto si suicida in cella, la guardia carceraria risponde di omicidio colposo.

Chiaro e forte il monito della Corte di cassazione che, con la sentenza n. 6744 del 20 febbraio 2012, ha respinto il ricorso di una guardia carceraria che, durante il suo turno di sorveglianza a vista nei confronti di una detenuta, non si era accorta del suicidio di questa.

L’agente di custodia veniva così tratta a giudizio davanti al Tribunale monocratico di Roma per rispondere dei reati di cui agli articoli 41 e 589 c.p. per la morte della detenuta, verificatasi nel carcere romano di Rebibbia, per impiccamento, contestandole l’omissione di diligenza nella sorveglianza della detenuta per non aver impedito alla stessa di impiccarsi alla sponda del letto e per non essere riuscita a giungere in tempo per evitare il tragico evento. Il giudice di primo grado condannava così la guardia per colposa omissione che aveva dato luogo alla responsabilità. La condanna veniva altresì confermata dalla Corte d’Appello di Roma.

Da qui, il ricorso per cassazione lamentando la mancanza di motivazione e l’inosservanza e l’erronea applicazione della legge penale.

La quarta sezione penale della Suprema Corte ha ravvisato nella condotta della guardia un’omissione di diligenza e pertanto ha ritenuto irrilevante la contestazione dell’imputata che si era appellata al principio di casualità del reato omissivo, facendo leva sulle modalità di esecuzione del suicidio, consumatosi su una sponda del letto non visibile dallo spioncino.

I Giudici Ermellini sottolineano come la disposizione della sorveglianza a vista era stata impartita proprio in previsione di iniziative estemporanee e pericolose della detenuta e per evitare comportamenti autolesionistici: pertanto è da escludersi il fattore dell’imprevedibilità del gesto.

Per Giovanni D’Agata, componente del Dipartimento Tematico “Tutela del Consumatore” di IdV e fondatore dello “Sportello dei Diritti”, la sentenza appare come un vero e proprio richiamo nei confronti dell’amministrazione carceraria, in quanto oltre a costituire un importante precedente, rappresenta un ulteriore invito al Ministero di Giustizia ad attivare tutte le misure possibili a tutela della dignità dei detenuti.

E’ una sentenza che suscita amarezza‘”, ha commentato invece il segretario del Sindacato autonomo di polizia penitenziaria, Donato Capece. “Si tratta della colpa in vigilando che viene attribuita all’agente – spiega Capece – ma è chiaro che in una situazione di sovraffollamento come quella attuale, quando ci sono casi di vigilanza a vista prevista dagli psichiatri, significa impegnare un agente 24 ore su 24 al controllo di un singolo detenuto, e questo crea situazioni spesso difficili da gestire”. ”Davanti a tragedie come la morte bisogna rinnovare l’impegno nell’azione di controllo, ma bisogna anche mettersi nei panni di chi deve garantire un servizio ma non ha uomini per farlo”, conclude il segretario del Sindacato.

Qui il testo integrale della sentenza n. 6744/2012 della Corte di Cassazione

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