Cambio al vertice dell’ente “pilotato” da politico: è abuso d’ufficio

Redazione 08/02/12
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Il politico che fa dimettere un dirigente di un ente per far posto a un suo fedelissimo commette il reato di abuso d’ufficio.

Lo afferma la sesta sezione penale della Corte di Cassazione, con sentenza n. 4933 del 2012.

Il politico, presidente di un ente locale siciliano, è infatti sospettato di aver posto in essere atti di “moral suasion” affinché un manager dirigente al vertice di un ente controllato si dimettesse lasciando così il posto ad un suo fedelissimo, il quale lo avrebbe certamente favorito nell’aumentare il proprio bacino di voti all’interno della struttura in questione. Tali atti sarebbero consistiti nell’aver tagliato e bloccato unilateralmente i fondi destinati all’ente, in modo da indurre alle dimissioni l’incolpevole dirigente.

Tuttavia il politico in questione era stato assolto dall’accusa di abuso d’ufficio “perché il fatto non costituisce reato”; infatti la sentenza che esclude la sua responsabilità non considera le testimonianze secondo cui, dopo il “pilotato” cambio al vertice dell’ente, i finanziamenti pubblici sarebbero tornati ad affluire verso l’istituto. Secondo il giudice d’appello l’imputato non avrebbe interferito sulla sospensione dei pagamenti né avrebbe influito sulle dimissioni rassegnate dal dirigente.

Ma la Cassazione è di tutt’altro avviso e, accogliendo il ricorso del procuratore generale presso la Corte d’appello di Palermo, ordina il rinnovo del giudizio.

Secondo la Suprema Corte, nel valutare la colpevolezza o meno del politico amministratore, il giudice del rinvio dovrà prendere “in esame tutte le prove legittimamente acquisite al processo” e valutarle “secondo le regole della logica”. Tutto si gioca nell’accertare i tre fatti topici oggetto di prova: 1) se l’imputato ha dato ordine di sospendere i pagamenti in favore dell’ente; 2) se il manager ha presentato le dimissioni per effetto dell’ordine abusivo impartito dall’imputato; 3) se l’imputato ha agito per soddisfare un interesse privato. Per la Suprema Corte, qualora questi fatti fossero provati, ci si troverebbe in presenza del reato di concussione.

Da qui, l’annullamento della sentenza con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello.

Qui il testo integrale della sentenza  n. 4933 del 2012 della Corte di Cassazione

Redazione

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