La legge 40 nuovamente al vaglio della Corte Costituzionale

Marina Gennaro 14/02/11
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E’ di pochi giorni fa la notizia di un nuovo rinvio della legge 40 alla Corte Costituzionale, questa volta ad opera della prima sezione civile del Tribunale di Milano.

Si tratta dell’ennesimo intervento, effettuato dall’autorità giudiziaria, sul testo della controversa legge che dal 2004 regolamenta in Italia la fecondazione assistita.

E’ difficile non ricordare che la promulgazione della legge è stata preceduta da un acceso dibattito che ha coinvolto non solo le forze politiche impegnate in Parlamento ma l’intera società civile, divisa tra uno schieramento favorevole ad una regolamentazione più restrittiva e uno schieramento “laico” che, invece, auspicava una legge di più ampio respiro, svincolata da condizionamenti etici e religiosi.

L’approvazione della legge n. 40, con l’introduzione di numerosi divieti, ha in parte disatteso le speranze di quest’ultimo schieramento ed è stata salutata come la legge più restrittiva (in materia) d’Europa e lesiva dei diritti della persona.

Così, dal giorno della sua entrata in vigore ad oggi, la legge 40 è stata bersaglio di una sorta di “class action” messa in atto da associazioni e da gruppi di pazienti affetti da serie patologie, che hanno presentato ricorsi in diverse città d’Italia per vedersi riconosciuto il diritto di diventare genitori.

E’ lungo l’elenco delle sentenze che – dal 2005 – si sono susseguite determinando, di fatto, lo sgretolamento del testo della legge anche in riferimento a principi cardine della stessa.

Solo per citarne alcune tra le più rilevanti: è del settembre del 2007 la pronuncia del Tribunale di Cagliari che consentì di effettuare la diagnosi preimpianto, facendo leva su di una interpretazione costituzionalmente orientata della legge 40, ed ancora, dell’aprile del 2009 la pronuncia della Consulta che dichiarò l’illegittimità dell’art. 14, c.2 sulla restrizione del numero degli embrioni da impiantare e l’assenza di una espressa previsione che stabilisca che il trasferimento dell’embrione debba essere effettuato senza pregiudizio per la salute della donna.

Si è trattato, allora, d’importanti traguardi raggiunti dalle numerosissime coppie che ogni anno decidono di intraprendere questo difficile percorso e che si scontrano non soltanto con le difficoltà insite nella natura stessa della tecnica dell’inseminazione medicalmente assistita ma anche con una legislazione fortemente restrittiva che pone importanti limiti all’utilizzo della stessa.

Oggi, per tutte quelle coppie, sembra più vicino anche un ulteriore traguardo, forse il più importante da raggiungere ovvero l’abrogazione dell’art. 4 della legge che vieta la fecondazione eterologa, quella cioè che utilizza materiale genetico proveniente da un donatore terzo.

Divieto che, senza dubbio, è il principio più controverso e criticato dell’intera legge.

Contro tale divieto sono stati, infatti, presentati numerosi ricorsi in seguito ai quali si sono espressi – tutti con ordinanza di rimessione alla Corte Costituzionale – il Tribunale di Firenze, quello di Catania (nell’ottobre del 2010) e recentemente quello di Milano; a breve dovrebbe pronunciarsi anche il Tribunale di Bologna.

Secondo i giudici milanesi l’attuale normativa, laddove prevede delle sanzioni pecuniarie a carico delle strutture che operano tale tipologia di fecondazione, “non garantisce alle coppie cui viene diagnosticato un quadro clinico di sterilità irreversibile il diritto fondamentale alla piena realizzazione della vita privata familiare”.

Il divieto di fecondazione eterologa lede principalmente il principio di uguaglianza sancito dall’articolo 3 della Costituzione: si viene a creare, infatti, una disparità di trattamento tra le coppie infertili che tuttavia producono ovuli e spermatozoi (e sono ammesse alle cure) e quelle che invece non ne producono perché colpite da una forma di sterilità più severa, escluse così dal ricorso a tale tipo di cura pur essendone (paradossalmente!) maggiormente bisognose e costrette a recarsi all’estero nelle numerose cliniche specializzate presenti in molti Paesi d’Europa.

Si parla di “turismo procreativo” e di viaggi della speranza, naturalmente accessibili solo alle coppie economicamente in grado di affrontare gli alti costi del viaggio e dell’intervento; un’ulteriore forma di discriminazione, questa volta di natura economica.

Ma in ballo, oltre al principio d’uguaglianza, c’è anche il diritto alla salute.

Alla luce dell’enorme mole di ricorsi presentati e delle conseguenti pronunce dei giudici (che ne hanno parzialmente sgretolato l’impianto originario) sorge spontaneo chiedersi se che questa legge abbia effettivamente colto le istanze delle migliaia di coppie infertili, soddisfacendone le legittime aspettative e fornendo loro gli strumenti per raggiungere il risultato sperato, o se invece sia stata promulgata spinta dalla pressante necessità di disciplinare il fenomeno sempre più dilagante del ricorso alla fecondazione assistita (già regolamentata nel resto dei Paesi europei) accogliendo tuttavia suggerimenti e prescrizioni di carattere etico-religioso, presenti nel nostro Paese.

La pronuncia della Consulta è attesa per la prossima primavera.

E’ ragionevole, oggi, porsi una domanda: cosa succederà se la Corte Costituzionale dovesse pronunciarsi accogliendo l’eccezione di incostituzionalità dell’articolo 4 della legge 40?

La soluzione più ragionevole imporrebbe una nuova regolamentazione della materia, attuata di concerto con tutte le forze politiche e tenendo conto delle importanti modifiche apportate dalle recenti pronunce dell’autorità giudiziaria.

Non resta che aspettare e sperare che le scelte future vengano, finalmente, adottate nel pieno rispetto dei principi costituzionali e dei diritti della persona.

Marina Gennaro

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