Legge elettorale, ritorna la carica dei 101. Addio maggioritario

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Proprio quando sembrava che il governo Gentiloni stesse navigando in acque tranquille verso il 2018, ecco lo scossone del Senato che vede per la prima volta Matteo Renzi volgersi a muso duro contro il premier in carica.

Cosa è accaduto? Molto semplicemente, la nomina di Anna Finocchiaro a Ministro per i Rapporti con il Parlamento, pure a distanza di quattro mesi dal cambio di governo, ha richiesto l’elezione di un successore alla presidenza della commissione Affari costituzionali.

Peccato che, in questi casi, il voto sia segreto e spesso venga utilizzato per lanciare messaggi incrociati o all’esecutivo, o, come in questo caso, a uno dei suoi maggiori sponsor, ossia lo stesso Matteo Renzi, segretario dimissionario e candidato all’imminente congresso del Partito democratico.

La storia del Pd – e alleati – insegna: ogni volta che c’è una conta interna, come in questo caso, con le primarie programmate al 30 aprile, ecco che si scatenano i franchi tiratori, quegli eletti che, vuoi per rivendicare la propria autonomia, o per mettere in crisi la supremazia del capo, finiscono per ribaltare il tavolo.

Esempio epocale di questo costume poco edificante resta indubbiamente il flop di Romano Prodi all’elezione del Quirinale 2013, quando 101 eletti nelle file del Partito democratico voltarono le spalle al proprio fondatore facendo decadere la sua candidatura al Colle. Lo scopo fu quello di bloccare sul nascere la possibilità di un esecutivo Bersani con appoggio esterno del M5S, un accordo che probabilmente il Professore da Capo dello Stato avrebbe avallato.

Da allora, neanche uno dei “colpevoli” ha mai fatto outing circa la propria responsabilità, anche solo esprimendo un dissenso con la linea comune del partito. Zero, silenzio assoluto.

E c’è da immaginarsi che andrà così anche stavolta. I numeri sono molto più piccoli, ma lo schema è del simile. Alle redini della commissione Affari Costituzionali del Senato è finito il senatore di Ap (ex Ncd) Salvatore Torrisi, al posto del favoritissimo democratico Giorgio Pagliari. Certo, dalle parti del principale partito di maggioranza si fa scudo indicando come responsabile un’inedita alleanza che dagli alfaniani andrebbe fino a Forza Italia, la Lega e i 5 Stelle. In realtà, non sono pochi a pensare che Pagliari sia stato tradito da un fuoco amico, forse per scalfire l’unanimismo di cui vorrebbe godere Matteo Renzi. Non stupisce, dunque, il sibillino: “Come si va avanti così?” lanciato dall’ex premier verso il suo successore.

Dopo il 68% ottenuto nel voto dei circoli, infatti, Renzi si avvia a una vittoria larga anche alle primarie, sebbene il dissenso nel suo partito sia oggettivamente diminuito a seguito della scissione di Bersani and friends.

Dunque, la mancata elezione del candidato Pd alla commissione Affari Costituzionali segna i primi scricchiolii nel fronte Renzi-Gentiloni e, insieme, lancia un messaggio chiaro a tutto il sistema politico: il maggioritario resterà un sogno.

Ora che alla guida della commissione è finito un uomo di Alfano, infatti, ha preso corpo uno schieramento trasversale, questo sì, a favore del proporzionale, che dunque potrebbe lasciare immutato il quadro oppure apportare minime modifiche alle due leggi vigenti ritoccate dalla Consulta.

Sono due le date da tenere d’occhio: il 30 aprile, quando il Pd avrà un nuovo segretario e il 15 settembre, data in cui i parlamentari in carica matureranno il vitalizio. Fino ad allora, salvo colpi di scena, ogni scontro rimarrà sul piano verbale.

Francesco Maltoni

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