Il fantastico mondo del dipendente pubblico in un recente volume

Stefano Usai 11/08/14
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Ecco una guida utile per tutti i dipendenti pubblici   e comunque per chi vive a pane e pubblica amministrazione.

E’ stata finalmente completata la traduzione del celeberrimo saggio di Marc Iknoweverything durata anni di estenuanti lavori.

Già la stampa più attenta, ha tracciato una inquietante analogia tra i lavori di traduzione del manoscritto del famoso saggista (nonché pittore, tatuatore,  pensatore, pescatore di frodo ed esperto in tartarughe da corsa) con la traduzione dell’Ulisse di Joyce. Alcuni ne hanno finanche rilevato una maggiore importanza soprattutto nelle estenuanti pagine senza virgole.

Come noto negli ambienti più malsani della pubblica amministrazione, il saggio si compone di poco meno di un migliaio di capitoli interamente dedicati alla definizione/configurazione del  dipendente pubblico, ed ai suoi rapporti con la legislazione, la giurisprudenza e via discorrendo, con illuminanti distinguo tra i dipendenti dei comuni, delle province, anticipazioni sui dipendenti delle città metropolitane, delle regioni ed una trattazione sommaria – ma comunque non meno importante – sui dipendenti più latamente statali.

Di recente, per completezza,  il singolare   scrittore (anche giallista, passeggiatore mattutino e brillante intrattenitore in famose pizzerie) ha anche minacciato la prossima uscita di un secondo tomo, più contenuto di sole 1.800 pagine a completamento ed aggiornamento dell’opera appena tradotta. Come di consueto, da simpatico intellettuale non ha voluto fare nessuna anticipazione limitandosi a puntualizzare (sempre in tono minaccioso) che ultimamente non riesce a prendere sonno per una forte emicrania.

Si evidenziava di una significativa   rilevanza del volume dal titolo “Il dipendente pubblico è una invenzione: in realtà si tratta solo di un ologramma di uno che sta a casa a dormire e/o a far cruciverba”. Francamente, a sommesso avviso, la traduzione più corretta  sarebbe stata “Il fantastico mondo del dipendente pubblico”. Ma, il direttore della  famosa casa editrice, la “Nonfacciamomaieffettispeciali” ha dichiarato di voler tenere un basso profilo.

L’opera del nostro (anche tirasassi,  raccoglitore di  facezie, annotatore di proverbi  e interpolatore di aneddoti),   si caratterizza per una  breve premessa di 278 pagine in cui si descrive – da grande e finissimo conoscitore – l’ambiente fisico e psicologico in cui lavora il pubblico dipendente.

E’ fulminante, e non si può assolutamente trascurare, la dedica del libro a “Paul Nothing, maestro insuperato che la sera del 30 febbraio di un anno indimenticabile fu di conforto e insegnamento nel dirmi:  vadi, vadi pure avanti”. Di questo (pare) famosissimo personaggio si sa solo che interruppe gli studi in seconda elementare ma sembra evidente  l’influenza sulla scrittura (ciò emerge chiaramente in molte pagine del volume). 

I detrattori dell’autore sono divisi circa la corretta interpretazione della dedica: secondo alcuni si tratterebbe di un episodio totalmente inventato semplicemente per assurgere ad una certa dignità; secondo altri l’episodio – estremamente simpatico – si sarebbe verificato in particolari frangenti della vita del nostro in cui questi  non si decideva mai ad attraversare la strada; per taluni, infine, la dedica non merita alcun commento: si accetta e basta; tra i vivaci sostenitori si ritiene che la dedica appartenga al periodo c.d. bitorzoluto in cui Marc amava fare il suo gioco preferito ovvero battere la testa contro il muro e, pertanto, il riferimento non sarebbe poi così rilevante.

Della premessa, alcune pagine, ad esempio la descrizione delle scrivanie sempre linde, assolutamente prive di pratiche imboscate altrove (e più avanti il grande scienziato spiegherà dove)  sono memorabili; di eguale grandezza sono le parole dedicate al rapporto del pubblico dipendente con i supporti informatici   e la supposta astuzia del primo che finge di avere a che fare con strumenti inadeguati, superati, obsoleti solo per produrre di meno.

Sul punto è davvero notevole, poi, la descrizione dell’inadeguatezza della postazione di lavoro tra cavi elettrici, vibrazioni varie e sedia sghemba (n.d.a. traduzione corretta dalla espressione inglese “sghemba”) e   pericolosa. Tutte circostanze, si legge in incisi di capitale importanza, strumentalizzate  dal funzionario sempre  e solamente per sollevare futili problemi e contestazioni.

Al riguardo, risulta davvero interessante la tesi espressa dall’autore considerata una delle più affascinanti degli ultimi 38 anni e 4 mesi  secondo cui il pubblico dipendente (finalmente) sarebbe più produttivo, con risultati di altissima qualità, se lavorasse in piedi con una catena al piede.

Nella premessa, in cui si tratteggiano argomenti  sviluppati più  avanti e che non si vede l’ora di leggere a causa della  suspense creata dallo scrittore (nonché massimo esperto del prof.  Rino Trequarti – di cui non si sa niente ad eccezione della insana passione per gli alcolici –, instancabile viaggiatore soprattutto nelle terre di mezzo e di quelle più in fondo e collezionista di carta riciclata), ci si sofferma sulla pratica – definita  abominevole – di utilizzare la luce elettrica negli uffici pubblici. Rammenta infatti, l’autorevole chiosatore, il modus operandi di un noto burocrate, tal  Mister Scrooge  autentico stacanovista alla luce delle candele di cera.

E’ impressionante il report sulla differenza dei costi tra le bollette degli ultimi 27 anni, 6 mesi e 12 giorni (della pubblica amministrazione) ed il risparmio se il lavoro (ammesso che sia tale, come maliziosamente si rimarca  nel testo) fosse stato fatto alla luce naturale o con l’ausilio delle candele di cera.

Le pagine in argomento sono anche intrise di grande commozione visto il ricordo, che il nostro dedica, alla nobile figura paterna, noto domatore di gatti randagi, indefesso lavoratore, che non ci ha  mai – come spesso ama ricordare  Marc – fatto mancare un pezzo di carne.

L’emozione del ricordo del padre, viene addirittura enfatizzata con un  corredo fotografico che, in appendice, impreziosisce il libro.

Nelle foto appare anche il giovane Marc.

Tra le tante sono deliziose quella del primo giorno d’asilo con i compagni che non ci sono perché era domenica; quindi a 4 anni già con la barba folta come nelle foto più recenti; una più simpatica in cui il nostro avrà più o meno 5 anni in cui sembra chiedersi qualcosa ma non è chiaro che cosa e poi quelle da adolescente maturo dotato di una intelligenza superiore alla media.

In una – già quindicenne – si mostra nell’intento di afferrare l’arcobaleno, nell’altra mentre va al college con i coetanei invisibili perché era domenica; più avanti la discussa foto con il terzo orecchio (ovviamente prima dell’operazione); in altre, rese più affascinanti dal bianco e nero, mentre fa il suo  gioco preferito accanto al muro maestro di 2 metri di spessore, dalla fronte del grandissimo appena un rivolo di sangue; nella successiva, appena sfocata, appare con evidenti emicranie (che – in alternanza a periodi di letargo – affliggono il massimo esperto vivente della p.a.).

Quindi la foto del  giorno della laurea   – incredibile,  confesserà con gli occhi velati di lacrime – anche in questo caso con l’università  chiusa perché era di domenica.

Infine, i momenti più toccanti dedicati all’amata famiglia: le sue sei nonne e  gli adorati 3 nonni; il padre venerato accanto alla madre, di origine sudamericana/irlandese Fulghenzio McParson. Si  può notare la somiglianza strabiliante con la madre per via della barba.

Poi la foto preferita dedicata al padre, nella bellissima residenza italiana di R. Coeli.   Si possono notare, dietro la rassicurante figura paterna, su una specie di stenditoio,    come della cacciagione, animali maculati messi ad essiccare. Su quest’ultima occorre soffermarsi perché secondo i  maggiori critici dell’autore (una immensità),  quest’ultima foto  sarebbe stata scattata negli anni 70, nella famosa estate conosciuta come “estate alla zuava senza gatti randagi e gatti domestici”.

Quell’estate, ricorda malinconico l’autore, non si trovava un gatto neanche a pagarlo oro però noi a casa, grazie a papà, non abbiamo mangiato tanta carne come in quei giorni.

Stefano Usai

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