Dalle Province siciliane ai Consorzi di comuni. I primi nodi arrivano al pettine

Massimo Greco 26/03/14
Scarica PDF Stampa

Sulla riforma dell’ente intermedio, recentemente approvata dall’ARS e non ancora pubblicata nella GURS, ci saremmo aspettati dal Commissario dello Stato l’impugnativa, quanto meno, di quelle disposizioni contenute nel disegno di legge che più delle altre si presentano, ictu oculi, in contrasto con le regole e i principi dello Statuto siciliano e della Costituzione, convinti come siamo che le ragioni del diritto non possono cedere alle ragioni di quella politica, anzi, di quell’antipolitica che in questi ultimi anni sta impregnando ogni tentativo di riformare pezzi dell’ordinamento istituzionale. Così non è stato, pazienza, “ce ne faremo una ragione”, parafrasando il neo Presidente Renzi. Tuttavia, lo sbrigativo “via libera” del Commissario dello Stato non depura il testo di legge dalle numerose imperfezioni che lo stesso contiene e che generano ansia in coloro che, a vario titolo, sono chiamati ad applicare la novella disciplina.

Il personale dipendente delle soppresse province regionali è già da tempo in agitazione per non essere riuscito a comprendere la prospettiva della riforma con particolare riferimento alla conservazione dei rispettivi livelli occupazionali. Come dargli torto? Nella fase di prima applicazione della legge il personale dipendente delle ex province regionali sembra tutelato atteso che, ai sensi del comma 7 dell’art. 1, i “I liberi Consorzi continuano ad utilizzare le risorse finanziarie, materiali e umane già di spettanza delle corrispondenti Province regionali.  I liberi Consorzi si avvalgono delle sedi già in uso alle corrispondenti Province regionali”.

I nodi verranno però presto al pettine, allorquando il medesimo legislatore regionale (art. 10) sarà chiamato ad individuare con precisione le funzioni amministrative che i consorzi di comuni dovranno esercitare. Noto è infatti il principio secondo cui la risorsa umana rappresenta lo strumento attraverso cui la P.A. persegue, in concreto, l’interesse pubblico. Di conseguenza, se le funzioni amministrative dovessero rimanere quelle che le province regionali esercitavano, nessuna preoccupazione potrà generarsi tra il personale, viceversa qualora le funzioni dovessero essere trasferite ai comuni e/o alla regione, come più volte affermato dal Governatore Crocetta, l’eccedenza sarà un fatto automatico che emergerà alla, doverosa, rideterminazione di ciascuna dotazione organica. Non potrà infatti giustificarsi il mantenimento di risorse umane per la gestione di questioni di cui i futuri consorzi di comuni non si occuperanno. Ci incuriosisce, a titolo esemplificativo, sapere se e come saranno impegnati gli attuali dipendenti provinciali che si occupano della gestione dei tributi di competenza provinciale in considerazione del fatto che i consorzi di comuni, sprovvisti dello status di enti territoriali di governo, non potranno esercitare alcuna funzione impositiva.

E’ possibile, ancorchè improbabile, che le funzioni amministrative dei consorzi di comuni subiranno un aumento a seguito della programmata soppressione di enti a rilevanza provinciale (art. 11). Tuttavia questa ipotesi  non ci sembra molto coerente con la natura consortile del nuovo ente intermedio e della connessa governance di 2° grado. Il legame che intercorre tra amministrati ed amministratori risente infatti inevitabilmente della rilevanza istituzionale che il legislatore attribuisce all’ente intermedio. Gli enti dotati di copertura costituzionale sono solamente quelli elencati nell’art. 114 Cost. Ora, maggiori saranno le funzioni e le competenze affidate all’ente maggiore dovrà essere i livello di partecipazione del cittadino al processo decisionale (elezione diretta degli organi). Viceversa, un’elezione indiretta degli organi di governo del consorzio di comuni giustifica l’attribuzione allo stesso di funzioni leggere (rectius, di coordinamento e programmazione delle attività dei comuni).

Altra questione sottovalutata nel testo di legge, e che riverbera i propri effetti sulle risorse umane, è quella delle funzioni amministrative individuate in capo alle province non in forza di una previsione di legge ma di una previsione statutaria. L’ente territoriale di governo essendo dotato anche dell’autonomia politica è infatti definito un ente a fini generali, cioè un ente esponenziale delle rispettive comunità amministrate che finalizza la propria azione pubblica anche per lo sviluppo sociale ed economico dei propri territori. Numerosi sono i casi di province regionali che hanno promosso politiche pubbliche locali per attività non strettamente connesse alle funzioni amministrative loro affidate dalla legge (consorzi universitari, consorzi turistici, consorzi sportivi, licei musicali e linguistici, partecipazioni in società, fondazioni, associazioni per la gestione integrata di servizi vari, ecc…). Orbene, mentre le funzioni amministrative coperte dall’ope-legis sembrano transitare direttamente nei consorzi di comuni, lo stesso non può dirsi per quelle funzioni amministrative che sono state previste dagli statuti provinciali. Né sarà semplice replicare le medesime funzioni negli statuti dei consorzi di comuni essendo questi, come già detto, sprovvisti dello status di enti territoriali di governo che esercitano funzioni a fini generali. Anche in questo caso la ricaduta sulle risorse umane è evidente.

Ma l’eccedenza non sarà provocata solo dalla riduzione quali-quantitativa delle funzioni amministrative che saranno individuate in capo ai consorzi di comuni. Un’ipotesi, tutt’altro che remota, sarà infatti rappresentata dal dato demografico sotteso ai singoli consorzi di comuni. Se i futuri consorzi di comuni insisteranno su una comunità di abitanti inferiore a quella amministrata dalle province regionali, il dato relativo al numero delle risorse umane non potrà non sortire dei contraccolpi. Anche in questo caso è noto il principio del calcolo delle risorse umane della P.A. in proporzione al numero degli amministrati. In tale contesto andrebbe presa in seria considerazione l’ipotesi di uno specifico albo regionale formato dai dipendenti provinciali dichiarati in eccedenza, ex art. 34 del d.lgs. 165/2001, dal quale dovranno obbligatoriamente attingere i nuovi consorzi di comuni prima di reclutare nuove risorse umane.

In attesa di conoscere come saranno sciolti questi nodi, auspichiamo di essere contagiati dal medesimo ottimismo che si registra nei palazzi regionali della istituenda area metropolitana di Palermo.

 

 

Massimo Greco

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento