L’assessorato alla felicità: come ti sorrido mentre spreco soldi pubblici

Luigi Oliveri 03/01/12
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Chissà che goduria essere cittadini del comune di Ceregnano, provincia di Rovigo. E’ con una certa invidia che noi, comuni mortali, guardiamo alla fortuna dei circa 3.800 residenti, baciati dalla sorte così tanto, da potersi vantare di avere un Comune che offre loro l’Assessorato alla felicità.

Già immaginiamo tutti gli abitanti di Ceregnano gaudenti, spensierati e sorridenti, aprirsi alla vita con letizia, grazie all’iniziativa del loro Comune. Che preso adotterà, per coerenza con la propria indispensabile iniziativa, l’Inno alla Gioia come proprio inno identificativo, insieme al gonfalone.

Com’è che gli altri 8.100 comuni d’Italia, le regioni, le province, lo Stato non ci avevano pensato prima? Un bell’assessorato o un ministero “alla felicità” ed ogni problema era risolto! Lo spread ci opprime, le tasse aumentano, la disoccupazione dilaga, la recessione ci avvolge? L’operato dell’assessorato alla felicità ci conforta e ci rende allegri. Che vuoi che sia la cassa integrazione, il licenziamento, il problema della fine del mese. L’assessore alla felicità saprà sempre darci il colpo di gomito giusto, fare l’ammiccamento e dare il suggerimento giusto per finire pignorati, ma con spensieratezza e visibilio.

Si dirà: il solito atteggiamento facilmente ironico e disfattista. In fondo, creare un assessorato alla felicità per un comune, ente a finalità generali, è possibile e doveroso: del resto, lo prevede perfino la Dichiarazione di Indipendenza americana del 4 luglio 1776, la quale sancisce che a tutti gli uomini vanno riconosciuti il diritto “alla vita, alla libertà e al perseguimento della felicità”. Eppoi, un assessorato alla felicità non costa nulla, visto che, nel caso di Ceregnano, per altro è un incarico ad un assessorato già esistente.

Che non costi nulla, tuttavia, è tutto da discutere. Sono iniziative come questa, al pari degli assessorati “alla pace” o similari, che dovrebbero essere oggetto di attenta analisi finalizzata a mettere sotto controllo la spesa e, comunque, la qualità dell’amministrazione. La stessa titolare dell’assessorato ha dichiarato nei giorni scorsi ai giornali che esso non potrà non avere il compito di “ideare iniziative per fornire ai suoi abitanti momenti di svago e di felicità”. Le spese, dunque, sottese ci sono eccome.

Istituito l’assessorato alla felicità, sarà facile constatare come tra i grigi ed oscuri travet della compagine burocratica manchi un esperto in felicità: e giù migliaia di euro per un incarico o per un consulente. Poi, quale concetto di felicità deve essere perseguito? Ne conseguirà l’indispensabile ricerca in merito: e ancora migliaia di euro che se ne andranno. Fatta la ricerca, però, perché non parlare dei risultati? Un bel convegno su “La felicità alle soglie del terzo millennio” non potrebbe mancare! Poi, per attivare le iniziative finalizzate alla felicità occorrerebbe un “piano operativo” sulla felicità, incarico aggiuntivo da affidare al consulente, ce allo scopo, comunque, non potrebbe non avvalersi di una società specializzata. Infine, ci sarebbe da attivare le “iniziative” capaci di rendere giulivi e contenti gli abitanti: e giù sagre, feste, balli, danze e quant’altro. Per concludere, poi, con un’indagine di gradimento sulle iniziative di felicità, da affidare ad un’altra società di consulenza. Spese su spese, per convincere gli abitanti ad essere felici, nonostante tutto.

Panem et circenses continua, in fondo, ad essere il motto di chi governa, il quale, per il solo fatto di aver avuto accesso a posti di guida della società, pensa ancora di potere e dovere imporre la morale, l’etica ed i sentimenti.

Kant (Sul detto comune, 1793) biasimava non poco questo modo di intendere la funzione politica e riteneva che un governo che volesse perseguire ed attuare la felicità tra i cittadini finisce necessariamente per generare dispotismo, poiché prelude al totale controllo “paternalistico” del governo sulle scelte personali degli individui.

Immaginiamo il comune di Ceregnano: cosa farà se i suoi cittadini non saranno sufficientemente garruli e lieti delle iniziative pro felicitate dell’assessorato? Un’ordinanza che obblighi ad essere felici?

Sempre Kant ci metteva in guardia, sottolineando che un sistema politico razionale non può basarsi sul perseguimento di sentimenti, come la felicità, bensì dovrebbe fondare le sue radici e imprimere la sua azione per attuare le forme necessarie ad assicurare libertà e diritti.

Ci sarebbe da chiedersi se il comune di Ceregnano, per assicurare la “felicità” dei propri cittadini eviterà di applicare l’Imu, abbatterà le altre imposte, amplierà l’offerta di posti negli asili nido, migliorerà la sicurezza delle strade e delle scuole. Oppure, se pretenderà di scambiare per felicità lo svago prodotto da spettacoli della “locale pro loco”, nonostante tutto.

In fondo, sarebbe da augurarsi che Ceregnano divenga davvero il Bengodi o il paese dei balocchi che pensa di poter essere, grazie all’opera di un assessorato: si meriterebbe proprio che masse di cittadini infelici migrassero lì tutto di un colpo. E così comprendere come la felicità è cosa seria, troppo per poter pensare che sia competenza di un assessorato comunale.

Luigi Oliveri

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