Uno Stato che non valorizza le istituzioni ed i suoi servitori carica le armi contro di loro

Luigi Oliveri 08/03/13
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Il duplice assassinio in regione Umbria da parte dell’imprenditore poi suicidatosi, potrebbe rappresentare un punto di non ritorno nel conflitto sociale, volutamente aperto da anni da politici e media.

L’Italia è un Paese che per troppo tempo non è stato governato, ma dominato. Le dominazioni straniere, spesso dal pugno duro, hanno creato un clima endemico di diffidenza e sfiducia verso i governi e coloro che lavorano per conto delle istituzioni, considerati dei privilegiati, messi a lavorare a posta per mantenere l’oppressione.

L’idea ancora dominante è che le norme e le prassi siano vessatorie, sicchè solo la conoscenza col “potente” consente di ottenere una “concessione”. Da qui l’ulteriore radicata abitudine di cercare l’appoggio e la raccomandazione, nella convinzione che le regole non debbano valere per tutti, perché chi trova l’aggancio giusto riesce comunque ad ottenere ciò che gli è utile.

Da anni le istituzioni non fanno nulla per modificare né la percezione del servizio che rende la pubblica amministrazione, né lo stato delle cose. Al contrario, peggiorano incessantemente la situazione, prevalentemente attraverso due devastanti azioni congiunte.

La prima è la produzione di leggi e norme kafkiane e oggettivamente dissennate. L’esempio è dato dal famigerato documento unico di regolarità contributiva, il Durc: un certificato che attesta la regolarità contributiva degli appaltatori, che è divenuto un girone infernale, visto che i ritardi dei pagamenti della pubblica amministrazione (causati prevalentemente dalle regole del patto di stabilità) impediscono la regolarità contributiva degli imprenditori, bloccando a sua volta i pagamenti, in una spirale infinita, che genera crisi prima di liquidità e poi fallimenti. Simmetricamente, mentre si approvano norme simili, i loro autori, Parlamento e Governo e loro componenti, parlano come se ne fossero estranei e presentano simili problemi come una colpa della “burocrazia”, leggasi impiegati pubblici, additati come coloro che creano a bella posta gli impedimenti.

La seconda è l’attacco diretto ai lavoratori pubblici. Le campagne, di senatori e ministri (oltre che di una stampa attenta solo al rumore dell’albero che cade e non della foresta che cresce) contro i “fannulloni”non fanno altro che confermare nell’immaginario collettivo, già mal disposto, la convinzione che nella pubblica amministrazione lavorino solo parassiti e corrotti, gente che ruba lo stipendio, sottraendolo ad altri. Ora, si aggiunge l’ulteriore convinzione che le risorse per il lavoro pubblico siano da destinare al reddito di cittadinanza.

Di fatto, la pistola dell’imprenditore poi suicidatosi è stata caricata da questo modo di legiferare e di rappresentare la pubblica amministrazione, questo è piuttosto evidente.

Il rischio molto concreto è che ora non basti più l’assassionio metaforico di una parte della pubblica amministrazione, cioè l’agnello sacrificale delle province. Talmente martellante è stata la campagna contro questi enti che la loro effettiva abolizione non sarebbe considerata un risultato, ma un atto dovuto giunto troppo tardi, per altro non del tutto significativo se non accompagnato dal licenziamento in tronco del 57.000 dipendenti di questi enti.

L’episodio di Perugia, comunque connesso agli attentati che nei mesi scorsi hanno coinvolto molti uffici di Equitalia e dell’Agenzia delle entrate, è pericolosissimo, perchè stato versato del sangue ed il suo “odore” potrebbe non rendere più sufficiente il mero segnale simbolico dell’abolizione di questo o quell’ente.

La campagna contro la pubblica amministrazione fa vedere i dipendenti pubblici come parte essenziale della casta: tutti corrotti, tutti ad aggrapparsi alla vecchia politica, tutti raccomandati e fannulloni. Una categoria sociale che fa parte di quel gruppo che Grillo ha chiaramente indicato come parassitario, gli untori da abbattere.

Chi, per disperazione, giunge alla decisione del gesto estremo di togliersi la vita può sentirsi autorizzato, adesso, causa uno Stato che non rappresenta la casa di tutti, non sa difendere le sue istituzioni e presentare chi vi lavora come servitori dei cittadini, a portare con sé gli untori e i parassiti.

Luigi Oliveri

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