Uber contro i taxi spagnoli, cosa dice la Corte di Giustizia UE

Uber svolge servizi di mediazione o di trasporto?

Luigi Nastri 23/01/18
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Con la sentenza C-434/15 pubblicata il 20 dicembre 2017 la Corte di Giustizia si è pronunciata in ordine ai servizi offerti nel vecchio continente da Uber.

Il caso è stato posto all’attenzione del giudice europeo grazie ad un rinvio da parte del giudice di Barcellona in merito ad una controversia sorta tra la società americana ed un’associazione di taxi spagnola.

La ricetta del successo di Uber va rintracciata nel fatto che offre mediante un’applicazione sullo smartphone un contatto diretto tra conducente e passeggero, bypassando le abituali logiche dei taxi e soprattutto i costi tariffari. Un sistema che trova le sue radici culturali in un’economia molto liberale come quella statunitense e che in Europa fa molto discutere.

La sentenza della Corte segna sicuramente un punto di svolta.

Uber viene infatti definita come un “servizio di intermediazione che consente, mediante un’applicazione per smartphone, di mettere in contatto dietro retribuzione conducenti non professionisti che utilizzano il proprio veicolo con persone che intendono effettuare spostamenti in area urbana”.

Partendo da tale presupposto viene richiesto dal giudice di Barcellona se il servizio offerto da Uber possa essere qualificato come “servizio d’informazione” con conseguente applicazione dell’art. 56 TFUE e norme collegate o come “servizio di trasporto” ai sensi dell’art. 58 TFUE.

La differenza non è affatto irrilevante: la Direttiva 98/34 definisce società d’informazione quella che fornisce un servizio “normalmente prestato dietro retribuzione, a distanza, per via elettronica e a richiesta individuale di un destinatario di servizi”; laddove Uber fosse trattata quale società d’informazione applicando la Direttiva 2000/31, a sua volta espressiva del generale principio di libera prestazione dei servizi all’interno dell’UE di cui all’art. 56 TFUE, gli Stati membri non potrebbero limitare la circolazione dei servizi (offerti da Uber) provenienti da altro Stato membro.

Dovrebbe poi applicarsi la Direttiva 2006/123 la quale in materia di servizi nel mercato interno (diversi da quello di trasporto) stabilisce che “Gli Stati membri possono subordinare l’accesso ad un’attività di servizio e il suo esercizio ad un regime di autorizzazione” purchè sussistano determinate condizioni. Si ricorda sul punto che in Italia i taxi e in generale i trasporti pubblici svolgono un servizio pubblico essenziale attuativo della libertà di circolazione ai sensi dell’art. 16 della Costituzione.

Dall’altra parte come sottolineano i giudici europei, la stessa giurisprudenza della Corte di Giustizia ha ritenuto servizio di trasporto non solo il traporto in quanto tale ma “altresì ogni servizio intrinsecamente connesso a un atto fisico di trasferimento di persone o di beni da un luogo a un altro tramite un mezzo di trasporto” ( C-168/14 sentenza del 15 ottobre 2015, parere 2/15 del 16 maggio 2017).

Se è vero che, come evidenziato dalla Corte di Giustizia, Uber fa da intermediario tra passeggeri e conducenti non professionisti che per eseguire la prestazione di trasporto utilizzano il proprio veicolo, è altrettanto vero che senza l’attività di Uber non ci sarebbe offerta del servizio di trasporto da parte dei conducenti. In sostanza la società americana non è un “mediatore” che favorisce l’incontro di domanda ed offerta, tanto più che la stessa Uber influenza i prezzi del servizio che non sono frutto di trattativa privata, come vorrebbe una vera attività di mediazione.

Dal momento che l’attività di Uber è condizione di esistenza del servizio e stante la visione estensiva dalla giurisprudenza della Corte sopra richiamata sul concetto di servizio di trasporto, i giudici europei concludono qualificando Uber come società che svolge servizi di trasporto con conseguente applicazione dell’art. 58 TFUE.

Devono pertanto applicarsi le norme del titolo sui “Trasporti” del TFUE: tuttavia l’art. 91 TFUE, come ricorda la Corte di Giustizia, è rimasto sostanzialmente inattuato non avendo il Parlamento europeo e il Consiglio dell’Unione europea adottato norme comuni a tutti gli Stati membri in materia di trasporti. Per tale ragione si conclude che è compito degli Stati membri disciplinare i servizi di trasporto nonché quelli di intermediazione, considerato lo stato attuale del diritto dell’Unione.

Luigi Nastri

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