Tagli alla sanità? Secondo i dati OCSE ed Eurostat non sono necessari

Dario Di Maria 08/11/13
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Sebbene la Ministra Lorenzin si fosse espressa contro i tagli alla sanità, e sebbene il governo abbia detto di non averne operati, alla fine il disegno di legge di stabilità per il 2014 comprende diverse tagli alla sanità, alcuni diretti, altri indiretti.
Infatti il finanziamento del Servizio Sanitario Nazionale è ridotto di di 540 milioni di euro per l’anno 2015 e 610 milioni di euro a decorrere dall’anno 2016, per effetto della proroga del blocco degli stipendi del pubblico impiego. Inoltre ulteriori tagli sono effettuati nei confronti delle Regioni, che quindi possono avere un effetto indiretto anche sulla sanità.
E’ proprio di questi giorni la pubblicazione del Rapporto OCSE sulla Sanità in Italia per il 2012, che mette in luce alcuni aspetti.
La percentuale di persone sopra i 65 anni di età è nel nostro paese del 20.3% (dato 2010), di gran lunga superiore alla media EU del 16.4%, e notevolmente superiore a venti anni fa quando era appena il 14.9%; quindi siamo un paese “vecchio” e che “invecchia” presto.
Il nostro prodotto interno lordo/pro-capite (fonte EUROSTAT) è leggermente al di sotto della media EU; e purtroppo siamo l’unica nazione in cui tra 2000 e il 2010 il prodotto interno lordo è diminuito dello 0,2%, invece di aumentare (Fonte OCSE).
La spesa totale per la sanità è di euro 2282 pro-capite, mentre la media EU27 è di 2470; se si vuole fare il confronto con la media OCSE espressa in dollari, l’Italia spende 3071 dollari pro-capite, mentre i paese dell’area OCSE ne spendono mediamente 3322. Quindi, in sintesi, spendiamo di meno della media europea e dei paesi maggiormente sviluppati.
La spesa sanitaria, espressa in percentuale del prodotto interno lordo, è del 9.3%, contro il 10.3% della media EU e il 9.3% della media OCSE. Quindi anche questo indicatore di spesa è sotto la media.
I posti letto ospedalieri in italia sono 3,4 ogni 1000 abitanti, mentre la media OCSE è di 4,8 per mille.
In sintesi quindi:
-l’Italia è un paese “vecchio” che invecchia rapidamente;
-l’Italia è un paese che produce di meno rispetto al passato e rispetto alla media europea;
-il totale della spesa sanitaria pro-capite è al di sotto della media EU27 e dei paesi OCSE;
-la percentuale della spesa sanitaria, rispetto al prodotto interno lordo, è al di sotto della media EU27 e in linea con quella OCSE;
-in Italia i posti letto per acuti e per la riabilitazione sono di meno rispetto alla media EU27 e a quella OCSE.
Da quanto sopra illustrato, è chiaro che i “tagli alla sanità” sono fuori luogo, e persino controproducenti.
Gli Stati Uniti, per esempio, negli anni della crisi (2008-2012) hanno aumentato la loro spesa sanitaria in modo consapevole e deliberato, passando da 3382 dollari del 2007 ai 4.066 del 2011. Il motivo è evidente: in periodi di crisi, quando anche la classe media s’impoverisce, deve essere lo Stato ad assicurare una maggiore copertura sanitaria, anche perchè la povertà economica è uno (forse il più importante) dei determinanti della salute. Se lo Stato cura di meno i cittadini, questi si ammalano di più (aumentando la spesa sanitaria) e spendono meno (contribuendo alla contrazione dei consumi); l’economia così si riduce, creando nuovi poveri che avranno sempre più bisogno di cure sanitarie nel breve e nel lungo periodo.
Inoltre, con riguardo proprio alla spesa sanitaria per cure di lungo termine (anziani, disabili, ecc…), la Ragioneria Generale dello Stato ci ha informato che la previsione della spesa pubblica per Long Term Care (LTC ) in rapporto al PIL nei prossimi anni, periodo 2013-2017, presenta una sostanziale stabilità. Solo successivamente (tra il 2030 ed il 2050) c’è una crescita progressiva del rapporto LTC/PIL, che passa dall’1,8% del 2012 al 2,8% del 2060, anche in virtù, però, della diminuzione del PIL; cioè si produce di meno, e quindi la medesima spesa in termini assoluti diventa più elevata in termini percentuali.
Che bisogna ottimizzare l’utilizzo delle risorse, è anche vero: infatti l’Italia ha una percentuale del 4,1 per mille di medici, contro il 3,4 della media OCSE, mentre ha solamente il 6,3 per mille degli infermieri, contro l’8,7 della media OCSE. Come triste monito, la Grecia nel 2010 aveva la percentuale di medici più alta (6,1 per mille). Sono inoltre ormai ben noti le differenze nella retribuzione dei dipendenti e negli appalti, differenze che il più delle volte sono assolutamente ingiustificabili ed ingiustificate.
In conclusione, ad oggi l’Italia spende per la spesa sanitaria, sia per acuti che per cure di lungo termine, meno rispetto alla media europea e agli altri paesi industrializzati, e nel lungo periodo non si prevede nessun aumento; di contro aumentano rapidamente gli anziani, i poveri (anche tra i lavoratori), e coloro che avranno bisogno di assistenza, diminuendo così la massa di denaro per l’economia reale.
Da tale scenario, se si continua con i tagli alla sanità, si prospetta un vero e proprio corto-circuito dell’economia.

Dario Di Maria

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