Pensavo, superata l’epoca “ammazza-scuola” del passato governo, di non dover sentire e subire altri stupidi luoghi comuni, ma, ancora, mi sbagliavo.
Pensavo, dopo aver visto le risorse della scuola tagliate con scure impietosa (mentre altrove molti festeggiavano le loro ruberie bevendo e libando su banchetti romani), di non dover vedere più niente. Terzo errore.
La storia delle 18 ore, ormai è una barzelletta.
Nessuno si sognerebbe mai di affermare che il lavoro di un relatore di una conferenza consista solo nell’ora in cui tale conferenza viene esposta.
Nessuno potrebbe dire che il lavoro di un cuoco consista nei cinque minuti in cui la torta viene sistemata su un tavolo.
Nessuno pensa che il lavoro di un pittore stia nel sollevare il telo dal dipinto per presentarlo al pubblico.
Ma a parere di chi ci ha governato e di chi lo sta facendo ora, l’insegnante lavora unicamente quando sta in classe.
L’ “insegnamento frontale”, quello con la classe, è la parte più bella del nostro lavoro.
E’ la parte che dà un senso alla nostra professionalità, la più soddisfacente, ma anche la parte più faticosa, quella che risucchia le energie.
Dopo aver parlato con voce proiettata per 4/5 ore, aver ascoltato 25 bocche e cercato di corrispondere a 25 mila desideri, aspettative, esigenze, aver spiegato-gestito-impostato la lezione, dopo aver cercato di dare spazio alle relazioni, di educare alle differenze, di facilitare il dialogo, di gestire le difficoltà, be’, dopo quelle 18/20 ore si esce svuotati di qualsiasi energia.
Ma nella società contemporanea questa è solo una parte del nostro lavoro.
Non so se sia mai esistita un’epoca in cui l’insegnamento potesse essere davvero frutto di improvvisazione e se davvero dopo essere uscito dall’aula l’insegnante potesse “chiudere il libro”.
Ora, di sicuro, no. In una società sempre più disattenta ai bisogni reali dei bambini e degli adolescenti si delega moltissimo alla scuola e noi insegnanti questa responsabilità la sentiamo tutta.
Forse è esistita un’ “epoca facile” (da non rimpiangere) in cui i bambini con handicap, quelli dislessici, quelli con problemi familiari, quelli profondamente demotivati venivano classificati come “somari”.
Questa etichetta bastava per chiedere loro poco e per non dare nulla.
Nessuna possibilità di riscatto, di realizzazione, di espressione.
Oggi nella scuola sentiamo fortemente l’esigenza di lavorare per tutti.
In ogni scuola c’è uno sportello psicologico che, dopo essere stato pensato, viene organizzato e gestito; il lavoro per i ragazzi dislessici viene concordato con gli esperti, discusso con le famiglie, preparato; le attività per i ragazzi con handicap quotidianamente condivise; in ogni classe sono presenti alunni stranieri con competenze linguistiche disparate, storie di vita a volte complesse. Anche per loro è necessario spendersi, organizzare in modo mirato le attività, per spianare loro il futuro. Per i ragazzi di terza media è fondamentale gestire attività di orientamento per la scelta della scuola e della vita futura.
Nulla di improvvisato, il lavoro di collaborazione con esperti e istituti è costante. E, in ogni caso e situazione, sempre i colloqui con i genitori sono basilari. Potrei proseguire davvero a lungo, per spiegare a grandissime linee in cosa consista il lavoro dell’insegnante, ma poi rifletto: chi è interessato al mondo della scuola (educatori, genitori…) probabilmente già lo sa.
E a “chi sta in alto”, interessa?
Penso che certi titoli propagandistici che campeggiano in questi giorni sui giornali non siano dettati dall’ignoranza della situazione, ma dalla precisa volontà di screditare la professionalità docente al fine di continuare a tagliare fondi alla scuola pubblica.
E’ palese che si voglia far passare il lavoro dell’insegnante come mera attività in classe, perché si è al limite di una situazione in cui non ci saranno insegnanti a sufficienza per portare avanti altri progetti, fin ora essenziali alla vita scolastica.
Il numero degli alunni per classe (in molti casi già ora troppo alto per consentire una preparazione decorosa e per concretizzare il diritto all’istruzione di ogni alunno) verrà ulteriormente innalzato e della scuola pubblica rimarranno le ossa.
Triste un paese in cui la cultura è privilegio di pochi, in cui i più cresceranno su fondamenta distratte.
Alla classe dirigente il problema non interessa, i loro figli non saranno tra di noi.
Ma “gli altri”sono tanti, sono i più, sono la maggioranza e quando si tocca la scuola la voce della maggioranza si dovrebbe far sentire.
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