Referendum Costituzionale: intervista a Massimo D’Alema

Redazione 14/10/16
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Il 10 ottobre 2016, presso le artificerie dell’Almagià, presso il quartiere Darsena della città di Ravenna, si è svolto l’incontro con Massimo D’Alema sulla riforma costituzionale. L’incontro è stato introdotto da Giorgio Stamboulis. Ecco il resoconto dettagliato del dibattito.

Il refendum costituzionale e il quadro politico europeo

Giorgio Stamboulis: gli schieramenti per il sì e per il no sono trasversali e compositi; come interpretare che Matteo Renzi, leader del Pd, un tempo di centrosinistra, ora si collochi dalla stessa parte di Confindustria nel referendum costituzionale?

Massimo D’Alema: la riforma costituzionale è sbagliata, confusa e riduce la sovranità popolare. L’Europa è pervasa da tensioni drammatiche che seguono la crisi della democrazia europea, a lungo incentrata sul confronto tra centrodestra conservatore e centrosinistra socialdemocratico. Sorgono movimenti e partiti contrari all’establishment, antieuropei e contrari all’integrazione europea. C’è una frammentazione dei sistemi politici con la conseguente perdita di ruolo degli stati europei, e mancato decollo della democrazia europea. Finora abbiamo avuto un governo tecnocratico europeo. Ci sono spinte democratiche nel parlamento europeo che però non è più il cuore della costruzione europea; è prigioniero di una gabbia di regole imposte dai tecnocrati.

I cittadini reagiscono con chiusure nazionalistiche o con rivolte anti immigrati, oppure con movimenti di sinistra come Podemos in Spagna o con Syriza in Grecia. Ci sono anche movimenti ambigui come M5S, non immediatamente classificabile come movimento di destra. Si tratta di un panorama politico frastagliato, in cui è evidente la crisi dei sistemi europei. C’è la ricerca di nuovi spazi politici da parte dei cittadini europei. Una grande banca d’affari come la JP Morgan ha dedicato uno studio alle costituzioni dei paesi del mar Mediterraneo, rilevando che i parlamenti contano troppo, che c’è troppa partecipazione popolare e scarso peso dei governi.

La riforma, sostenuta dalla Confindustria, va incontro alle richieste della JP Morgan. Da una parte c’è la grande finanza mondiale, dall’altra la Cgil e l’Anpi. Lo scontro quindi è anche sociale, ed è anomalo che il Pd sia schierato con la Confindustria e con la grande finanza. Massimo D’Alema appartiene invece alla storia di una sinistra moderata. La sinistra europea è attraversata da un dilemma: di fronte alla crescita delle spinte contro il sistema, che cosa deve fare la sinistra europea?

Anche i conservatori perdono consensi, in Germania la Cdu perde consensi a favore della Afd. O si fanno alleanze tra i partiti tradizionali contro le forze anti sistema, oppure si cercano alternative al pensiero unico neoliberista. In Spagna, Pedro Sanchez si è dimesso perché una parte del partito vuole allearsi con il partito popolare. In Portogallo invece si è costruita un’alternativa di sinistra. Ci sono diverse esperienze, quindi, ma il grande dilemma della sinistra europea è: puntare al centro e difendere il sistema, o costruire un’alternativa al predominio del pensiero unico neoliberista?

L’esperienza italiana guarda al centro. L’alleanza originaria tra il Pd e Sel si è rotta per puntare all’alleanza con le forze di centrodestra (Casini e Verdini). Qual è la prospettiva del Pd? Andare alle elezioni con Alfano e con Verdini? Oppure vogliamo ricostruire il centrosinistra, andando alla ricerca del nostro popolo? Dalle ultime elezioni europee, il Pd ha perso 3 milioni di voti nel suo elettorato tradizionale; c’è stato un crollo in Toscana, in Emilia, in Umbria. Da un milione di voti per Vasco Errani si è passati a 675.000 voti per Stefano Bonaccini.

Il grosso dell’elettorato di sinistra ha deciso di non andare a votare e di disconoscere il Pd, come è accaduto nelle ultime elezioni comunali. Ma Matteo Renzi ha detto che tutto questo non lo riguarda. Però il Pd ha perso la metà dei comuni che governava. E’ Matteo Renzi che ha consegnato l’Italia al movimento cinque stelle di Beppe Grillo. Ha cacciato come un ladro di polli Ignazio Marino davanti ad un notaio, per consegnare Roma a Virginia Raggi e per ritrovarsi con l’ex sindaco Ignazio Marino infuriato con il Pd. Un gruppo dirigente che caccia via un sindaco innocente e consegna Roma ai cinque stelle non è particolarmente geniale. Con questo clima ci stiamo avvicinando al referendum.

Come è nata questa riforma costituzionale?

Giorgio Stamboulis: come è nata questa riforma costituzionale? Una Costituzione deve radicarsi in un processo democratico, questa riforma costituzionale invece ha le caratteristiche di una riforma verticistica, decisa da un segretario di partito, che impone di cambiare la Costituzione, con un deficit di democrazia.

Massimo D’Alema: C’è stato un deficit di democrazia nel metodo adottato per la riforma costituzionale; in questo caso la forma è anche sostanza. Si sarebbe adottare il metodo usato per fare la Costituzione del 1948. I costituenti erano politicamente divisi, ma scrissero insieme la Costituzione. E senza che di essa se ne occupasse il governo, come diceva Pietro Calamandrei, secondo il quale, quando si parla di riforme costituzionali i bachi del governo devono restare vuoti.

De Gasperi ad esempio non intervenne nel processo di scrittura della Costituzione. Nel 1948 De Gasperi governava con il Pci ed il Psi all’opposizione, ma la Costituzione, l’arca dell’alleanza, come la definiva Togliatti, fu approvata con il consenso di tutte le forze democratiche. “La sicurezza, i diritti e le libertà di ognuno risiedono nella stabilità della Costituzione, che non può essere alla mercè di una maggioranza. Si tratta del manifesto dei valori e dei principi del Pd del 2008. Questo brano, questa visione, è stata violata da Matteo Renzi. Non si impongono a colpi di maggioranza la ravisione di 47 articoli della Costituzione, e non lo si fa se si sta in un parlamento frutto di un premio di maggioranza giudicato incostituzionale.

E questo consiglia prudenza e senso della misua che il Pd non può non avere. Non si può modificare la Costituzione a colpi di maggioranza. Quando la Costituzione è alla mercè delle mutevoli maggioranze politiche, e scade al livello delle leggi ordinarie, è in discussione qualche cosa di più grave della stabilità dei governi. E’ in gioco la stabilità delle istituzioni democratiche. Ora tutte le maggioranze future possono cambiare la Costituzione, con il potere economico dalla loro parte. Siamo sull’orlo della democrazia.

Ci sono stati due precedenti: nel 2001 la riforma del titolo quinto della Costituzione da parte del centrosinistra, a maggioranza. Massimo D’Alema disse che era un errore approvare a colpi di maggioranza la riforma costituzionale del 2001, perché si sarebbe creato un precedente politico pericoloso. Fu Rutelli, candidato leader del centrosinistra, che insistette affinchè la riforma costituzionale fosse approvata al più presto, nella speranza che avrebbe allontanato gli elettori dalla Lega e che avrebbe aiutato il centrosinistra a vincere le elezioni. Ma si rivelò un calcolo sbagliato. Poi anche Berlusconi fece una riforma costituzionale, e quella approvata da Matteo Renzi è simile alla riforma costituzionale di Berlusconi del 2005, che prevedeva la fine del bicameralismo perfetto e la diminuizione dei parlamentari.

Ci sono molti punti di contatto tra la riforma costituzionale di Berlusconi e quella di Matteo Renzi. La riforma di Berlusconi sviliva il ruolo del parlamento, una cosa inaccettabile. Si trattava di un parlamento di camerieri, come ebbe a dire un politico del centrosinistra, ora sostenitore del Sì al referendum costituzionale. Stiamo costruendo una Costituzione che va bene per un capo, ma rischiamo di confezionare un abito perfetto per il nostro leader, ma che dovrà essere indossato dal M5S.

Alle ultime elezioni comunali il Pd ha perso 19 comuni su 20. La legge elettorale Italicum è perfetta per dare la maggioranza al M5S. Le Costituzioni non si impongono a colpi di maggioranza. Il metodo costituente deve ricercare l’intesa più ampia tra le forze politiche. A quel punto tanto valeva la pena di intervenire in modo mirato e limitato sulla Costituzione, impostando un referendum articolato su più quesiti. Si è invece voluto concentrare la riforma costituzionale in un solo disegno di legge.

Ma quando si vota una riforma costituzionale che, intervenendo su 47 articoli della Costituzione, è voluminosa quanto un libro, non si tratta più di un referendum ma di un plebiscito, e ai plebisciti si vota no a prescindere. Quando il leader del partito di maggioranza relativa confeziona manifesti elettorali con lo slogan “Basta con i politici!”, è legittimo essere spaventati.

Quali sono i punti più pericolosi della riforma costituzionale?

Giorgio Stamboulis: quali sono i punti più pericolosi della riforma costituzionale?

Massimo D’Alema: Questa riforma è pasticciata e confusa; è sufficiente leggere l’articolo 70 della riforma costituzionale per rendersene conto e non votarla. Il bicameralismo resta e si crea una camera di serie B. Non si è voluto un vero senato federale; la riforma costituzionale indebolisce gli enti locali ed in particolare le regioni; i presidenti delle regioni dovrebbero ribellarsi, perché la riforma costituzionale permette al governo di intervenire nelle materie di competenza regionale, con la clausola di supremazia.

Eppure restano le regioni con statuto speciale, nelle quali il governo non può intervenire, sancendo così una differenza nei diritti dei cittadini delle regioni a statuto ordinario e quelli delle regioni a statuto speciale. Il governo del fare è uno slogan vecchio, non ci si sarebbe aspettati che sarebbe tornato proprio nel Pd, è stata un’amara sorpresa. La riforma costituzionale promuove una grande concentrazione di poteri nelle mani del governo, offrendo ai consiglieri regionali l’opportunità di fregiarsi del titolo di senatori e dell’immunità parlamentare. La camera delle regioni è inutile, perché in parte resta il bicameralismo perfetto, sui trattati Ue, e sulle leggi costituzionali.

La riforma non dice che cosa bisogna fare nel caso in cui su queste questioni ci siano maggioranze diverse fra camera e senato, con il rischio di paralisi dei lavori parlamentari. Il senato ha il potere di richiamo, che però non è un potere autentico. Invece il senato federale americano, ad esempio, una camera che rappresenta i territori e poi i cittadini, ha poteri effettivi. Se si decide il taglio della sanità pubblica, il potere di veto del senato, camera delle regioni, ha senso. Il senato ha il potere di ratificare le leggi regionali, ma non può legiferare in materie regionali, e questo è un paradosso. Matteo Renzi è pronto a ridisegnare la legge elettorale, ma solo dopo il referendum: se vince il no, è obbligatorio rifare la legge elettorale, se vince il sì non si sa.

Secondo Massimo D’Alema, se vince il sì andiamo alle elezioni con Italicum e con l’alleanza tra il Pd, Ala di Verdini e Ap di Alfano. Ma, a prescindere dalla legge elettorale, la riforma costituzionale è sbagliata sia nel metodo che nella sostanza. L’Ulivo aveva proposto il senato federale, ma quello proposto dalla riforma costituzionale di Renzi non lo è. Massimo D’alema è favorevole ad un governo forte ed autorevole, con un presidente del consiglio avente il diritto di sostituire un ministro, e con la sfiducia costruttiva. Ma serve anche un parlamento forte, eletto con un sistema elettorale uninominale.

La Costituzione, bene comune

Giorgio Stamboulis: E’ stato evocato l’Ulivo e il centrosinistra; la Costituzione è un bene comune, e allora qual è il rapporto tra centrosinistra e beni comuni? Nella Costituzione si è inserito il pareggio di bilancio senza discussioni appropriate, perché?

Massimo D’Alema: Innanzitutto dobbiamo intenderci su quelli che sono i beni comuni: ad esempio l’aria e l’acqua; i comuni non hanno ceduto la proprietà dell’acqua, semmai hanno ceduto ai privati la gestione del servizio di distribuzione dell’acqua. La riforma dell’articolo 81 della Costituzione è discutibile, e alla fine si è introdotto non il pareggio di bilancio, ma l’equilibrio strutturale nei conti pubblici.

Secondo Massimo D’Alema è necessario togliere dal calcolo della spesa pubblica gli investimenti pubblici, perché sono finalizzati a produrre ricchezza. La lievitazione della spesa pubblica è un problema di responsabilità verso le generazioni future; con la fine dell’Ulivo, il rapporto debito/pil è passato dal 121% al 101%; e senza tagliare la spesa sociale e i diritti collettivi. Ora il rapporto debito/pil è arrivato al 132%.

I governi dell’Ulivo facevano investimenti pubblici per 45 miliardi di euro, oggi ci sono solo 28 miliardi di investimenti pubblici, peraltro bloccati. Per questo l’Italia non cresce, anche perché si tagliano i diritti sociali, e non si investe, in ricerca e infrastrutture. La sinistra non deve permettere che si lasci in eredità ai nostri figli un debito pubblico enorme. E’ necessario un coordinamento ed una centralizzazione degli acquisti pubblici, per diminuire la spesa pubblica. Ci sono modi intelligenti per diminuire la spesa pubblica, senza tagliare sanità, sicurezza e scuola. Su questo si misura la capacità di fare l’interesse dei cittadini.

Che cosa dobbiamo ancora attuare della Costituzione?

Giorgio Stamboulis: che cosa dobbiamo ancora attuare della Costituzione?

Massimo D’Alema: Innanzitutto una premessa: se vince il no, non si va ad elezioni anticipate; e si farà una proposta per una limitata modifica della Costituzione. Un solo articolo con tre commi: primo comma: ridurre i deputati da 630 a 400, e i senatori da 315 a 200; secondo comma: elezione dei parlamentari a  suffragio universale, con elezione diretta; terzo comma: durante un esame di un disegno di legge, se ci sono diverse maggioranze tra camera e sanato, si sottopone il testo ad un comitato di conciliazione, che scrive il testo definitivo da sottoporre al voto del parlamento.

In questo modo si semplifica il percorso legislativo e si fissano tempi certi per l’approvazione della legge. Tutti i parlamentari che si esprimono per il no sono disposti a sottoscrivere questa nuova riforma, Forza Italia, M5S e Lega la voterebbero. Se vincerà il sì avremo una Costituzione in cui metà del paese non si riconosce. E’ possibile dare al no un contenuto positivo, e riformista, con un metodo costituente che coinvolga tutte le forze politiche.

Una riforma costituzionale ambiziosa

Giorgio Stamboulis: perché una riforma costituzionale tanto ambiziosa, che modifica ben 47 articoli?

Massimo D’Alema: per fare la camera delle regioni bisogna per forza di cose modificare tanti articoli. Quello che è discutibile è la forte spinta accentratrice del governo attuale, che non si manifesta solo con la riforma costituzionale, ma anche con la riforma della dirigenza pubblica: i dirigenti statali perdono le loro funzioni ed entrano a fare parte di un albo e di una commissione di Palazzo Chigi che decide chi avrà competenze dirigenziali effettive. L’intera pubblica amministrazione dipenderà dalla decisione politica di una commissione governativa; questo determina un potere di ricatto del governo verso la pubblica amministrazione.

La dirigenza pubblica sarà asservita al potere politico, riducendo le garanzie dei cittadini secondo uno schema già collaudato nel rapporto stato e regioni. La riforma costituzionale dà al governo un governo un potere enorme, non è vero che non tocca i poteri del governo. Si riduce lo spazio della sovranità popolare: questa riforma piace a Marchionne e alla Confindustria, ma non corrisponde all’interesse dei cittadini italiani. Berlusconi non sta facendo campagna per il no, Confalonieri è per il sì. Questo referendum taglia in due il paese: da una parte il potere, dall’altra i cittadini.

 

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