Prostituzione all’insaputa del titolare? No al sequestro dell’immobile

Redazione 28/06/13
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La Corte di Cassazione, Terza Sezione penale, con la sentenza 12 febbraio 2012-27 giugno 2013 n. 28133 ha stabilito che il titolare che abbia dato in locazione un immobile che, a sua insaputa, sia stato destinato a un giro di prostituzione non può essere sottoposto a sequestro preventivo dello stabile in virtù dei canoni di locazione percepiti. La vicenda aveva visto il tribunale rigettare con un’ordinanza l’appello contro un altro provvedimento giurisdizionale del Gip dello stesso tribunale, tramite cui era stata respinta l’istanza di revoca del sequestro preventivo di un immobile disposto dal medesimo Gip in relazione al reato di cui all’articolo 3, nn. 4) e 8), della legge n. 75 del 1958 (altrimenti nota come “Legge Merlin“).

L’oggetto del contenzioso, nei confronti del proprietario dell’immobile sottoposto alla misura, corrispondeva all’utilizzo stabile del locale ai fini prostitutivi, favorendo l’esercizio della prostituzione  e altresì  traendo beneficio patrimoniale dalla percezione dei canoni di locazione. L’ordinanza emessa dal tribunale è stata così impugnata dall’indagato con ricorso per cassazione. La Suprema Corte, esaminando il caso, è giunta ad affermare l’invalidità del riconoscimento dell’opposto orientamento giurisprudenziale, richiamato dai giudici di primo grado (Cassazione, sezione III, 19 maggio 1999, n. 8600), secondo cui “la semplice concessione in locazione di un immobile a un soggetto del quale si sa che vi eserciterà la  prostituzione integra il reato di cui all’art. 3, n. 8), della legge n. 75 del 1958, perché costituisce un contributo agevolatore di detta attività, consentendo condizioni più favorevoli sicure per il suo esercizio”.

“Tale orientamento -proseguivano i giudici- ha infatti la conseguenza di allargare eccessivamente l’ambito di applicazione della tutela penale, rendendo punibile qualsiasi aiuto prestato alla prostituta e, in particolare, l’aiuto relativo alle sue esigenze abitative, che solo indirettamente agevolano l’attività di prostituzione; cosicché non sussiste un nesso causale penalmente rilevante della condotta dell’agente e l’evento dei favoreggiamento della prostituzione”. Gli ermellini hanno pertanto deciso di seguire l’altro orientamento della Suprema Corte, il quale ribadisce che la sussistenza del reato di favoreggiamento della prostituzione viene a delinearsi soltanto se si verificano  “prestazioni ed attività ulteriori rispetto a quella della semplice concessione in locazione di un immobile ad una singola donna a prezzo di mercato (sezione 3, 23 maggio 2007, n. 35373, Rv. 237400)”. La Suprema Corte, in definitiva, ha optato per l’annullamento dell’ordinanza del tribunale, rimandando per la decisione.

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