Procura ad litem: respinto ricorso avvocato. Basta l’atto difensivo

Rosalba Vitale 19/03/15
L’ art.  83 c.p.c.  Dispone che “ quando la parte sta in giudizio col ministero di un difensore, questi deve essere munito di procura”.

La procura alle liti dal latino, ad litem, che significa “in vista del processo”, è la dichiarazione formale rilasciata dalla parte con la quale essa conferisce al suo procuratore il potere di rappresentarla nel processo.

Si distingue in generale o speciale, conferita con atto pubblico o scrittura privata autenticata.

Si definisce generale quando viene conferito al difensore il potere di rappresentare il cliente, come attore o convenuto, in tutte le cause in cui sarà parte.

La procura si dice speciale quando si conferisce la rappresentanza soltanto per una o più liti, determinate o meno.

Al momento della sottoscrizione della procura da parte del cliente, il difensore assume la veste di pubblico ufficiale, il quale certifica che la firma è stata apposta da quel determinato soggetto.

Pertanto, sia la sottoscrizione del cliente che la certificazione fatta dal difensore fanno piena prova fino a querela di falso.

Tanto premesso, recentemente, la Corte di Cassazione, sez. VI Civile con ordinanza 11 dicembre 2014 – 6 febbraio 2015, n. 2321  ha rigettato il ricorso proposto da un avvocato che contestava l’espletamento dell’attività difensiva da parte di un collega sfornito della procura ad litem e del giuramento decisorio.

Infatti, sul punto, la Corte di Appello di Napoli aveva ritenuto provato il conferimento del mandato con la sottoscrizione dell’atto di citazione, con l’attività difensiva svolta dal collega mediante redazione e deposito di atti difensivi.

Così anche in ordine alla mancata dimostrazione dell’effettuazione delle attività professionali la Corte distrettuale  ribadiva che: “la sottoscrizione degli atti difensivi e la presenza in udienza della professionista, certificata dai verbali di causa, costituivano prova sufficiente della sua attività in favore dell’appellante”, tutti elementi utili per riconoscere il compeso dell’ attività svolta al co- difensore.

Ne consegue, che la Suprema Corte sulla base dei presupposti su menzionati condannava il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio.

 

Rosalba Vitale

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