Nessuno ignora, ormai, che la preferenza degli elettori non la si acquisisce più – o non esclusivamente – con le tribune monodirette, i comizi stantii e le investiture al buio dei comitati di partito.
Oggi, la solidità di un candidato e il suo essere al passo coi tempi si misura principalmente in base a un altro indicatore: la capacità di presidiare i social media. Lo si è visto con i grandi successi elettorali di Obama, precursore della politica 2.0, o, in terra nostrana, sul tam tam ottenuto dai quesiti referendari del giugno 2011 che, con sorpresa dopo un passaggio anonimo negli schermi televisivi e sulle pagine dei maggiori quotidiani, raggiunse sorprendentemente il quorum per dire no al nucleare e alla privatizzazione dell’acqua.
Da queste premesse nasce uno studio come quello condotto da Emanela Zaccone e Max Spaziani, della Reputation Monitoring Room di Telecom Italia, che hanno cercato di individuare le chiavi del fenomeno primarie sul social network forse più utilizzato dagli addetti ai lavori, ossia Twitter.
I due, rispettivamente dottoressa di ricerca e ingegnere, hanno condotto un’analisi sull’andamento dei tweet di ciascuno dei cinque candidati – oltre ai due “reduci”, ricordiamo Nichi Vendola, Laura Puppato e Bruno Tabacci – nel periodo dall’11 al 26 novembre, fino all’indomani del primo turno di votazione.
Sebbene queste metodologie siano ancora agli albori, la fotografia nell’arco di 15 giorni scattata dai due analisti del web porta ad alcune considerazioni di elevato interesse per definire i connotati dei profili social di ogni candidato.
Innanzitutto, il primo dato di rilievo è riscontrabile nel grafico che segnala i picchi di tweet aventi per oggetto le primarie, con un balzo di oltre 100mila “cinguettii” nella sera del 12 novembre, quando, cioè, si è tenuto il dibattito a cinque su SkyTg24.
Una vetta che, nei giorni seguenti non è stata minimamente avvicinata dalla mole quotidiana di “micropost” pubblicati su Twitter: gli unici sussulti si notano in corrispondenza della “convention” renziana alla Leopolda del 17 e, naturalmente, il giorno stesso delle primarie, con un balzo significativo in nottata con la pubblicazione dei risultati sul sito della coalizione.
Tutt’altro che irrilevante, poi, nello studio dei due esperti di social media, il numero degli hashtag usati nei post inerenti la corsa alla premiership: la quota registrata è addirittura di 15mila “trend” differenti, di cui solo alcuni, però, hanno avuto successo nella popolazione del web.
Primo tra tutti, l’hashtag “ibrido” #csxfactor, proposto dal giornalista Filippo Sensi, al secolo, su Twitter, @nomfup. Una denominazione usata durante che sintetizzava alla perfezione la corsa “televisiva” dei candidati, in corso proprio negli studi di uno dei programmi più popolari del momento.
A ruota, negli hashtag più popolari, da segnalare il comando di #renzi, sia su #bersani che su #vendola, mentre gli altri due candidati si stabiliscono dietro.
Scorrendo la “classifica”, insomma, non si denota perfetta corrispondenza tra trend e numero di voti, soprattutto tra i due più votati, ma naturalmente la popolarità è un indicatore che viaggia di pari passo sia dentro le urne che di fronte al monitor.
Per questa ragione, è importante anche notare il “volume” di interesse che un singolo candidato è riuscito a generare in base alle menzioni dirette, ai retweet e alle risposte ricevute alle proprie sollecitazioni.
Anche qui, la classifica è guidata dal sindaco di Firenze, con oltre 72mila interazioni, quasi il triplo di Bersani, fermo a “sole” 26mila. Meno staccato rispetto alle percentuali di consenso Vendola, che tallona il segretario Pd a 21mila scambi con altri utenti.
Renzi superstar su Twitter, dunque? Indubbiamente, e fanno bene a sottolinearlo i due autori, il primo cittadino toscano può contare su un bacino di elettori anagraficamente più giovane e dunque più attivo con continuità sui social network.
Inoltre, va riconosciuto che Renzi ha saputo mettere in campo una forza mediatica, ma sarebbe meglio dire “crossmediale” che non ha precedenti tra gli ultimi leader di centrosinistra.
Bersani, dal canto suo, più forte sui canali tradizionali, non ha snobbato i social network, riuscendo tutto sommato a reggere il confronto con il più avvezzo sfidante.
Lo sconfitto, a leggere le cifre, parrebbe invece Nichi Vendola: il suo slogan #oppurevendola, ben accolto alle prime battute della campagna, non è riuscito a fare breccia tra i dieci hashtag più popolari dell’avvicinamento alle primarie, uscendo dalla top ten delle tendenze più usate.
Il dato più interessante, tuttavia, riguarda la capacità di veicolare il dibattito che ancora detiene il mezzo televisivo. Ultimamente snobbato da un nuovismo un po’ troppo ideologico, in realtà la capacità di indirizzo della televisione è ancora centrale. Un’influenza che, come confermano i picchi del dibattito e l’ampio ricorso all’hashtag #ilconfrontoskytg24, è in grado di generare effetti profondi anche sui più moderni canali “social”.
Forse, dire che i social subiscono la tv, è eccessivo, ma andrebbe adottato un approccio più volto all’integrazione tra mezzi vecchi e nuovi, magari tenendo conto che è il modello imperante di tv, soprattutto nostrano, che spesso si rivela obsoleto.
Respingendo la tentazione di legare in proporzione successo social e numero di voti, l’analisi di Zaccone e Spaziani è un esempio di come la politica sta cercando di trovare nuove forme di raccolta del consenso, in un’epoca in cui le forme di comunicazione si evolvono in maniera rapida e imprevedibile.
Vai allo studio di Emanuela Zaccone e Massimiliano Spaziani sulle primarie e Twitter
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