L’Inps, insomma, è ancora vivo proprio in virtù dei contributi versati da quei cittadini sprovvisti quasi di ogni genere di tutela, ossia i parasubordinati con rapporti di collaborazione più o meno duraturi. Non a caso, infatti, pare dietro l’angolo l’incremento di aliquota contributiva al 33%, una decisione che dovrebbe assicurare i disavanzi accumulati nelle precedenti gestioni, e garantire il solito apporto di ossigeno alle casse della previdenza.
La modifica definita, dovrebbe portare al 33,72% entro il 2018 il margine di contribuzione richiesto ai lavoratori sprovvisti di tutela pensionistica, partendo dall’attuale 28%, fino ad arrivare progressivamente a alla nuova quota di un terzo.
Dunque, l’esercito dei precari e di coloro che svolgono lavori di collaborazione a tempo limitato è l’unica speranza di sopravvivenza per l’Inps e ciò in virtù di quel meccanismo che gli esperti definiscono come “accredito contributivo”, per i quali gli anni effettivamente lavorati non corrispondono a quelli in cui si sono versati i contributi previdenziali. Ciò accade in virtù del minimale contributivo, previsto da diverse gestioni separate e al di sotto del quale non è possibile scendere per gli iscritti. Questo dato viene aggiornato in base alle giornate effettivamente lavorate da parte del lavoratore precario e andrà saldato da parte del datore.
L’elenco dei lavoratori chiamati a questo ulteriore sforzo contributivo comprende i parasubordinati, i co.co.pro., i co.co.co., i mini co.co.co. e tutti gli altri soggetti a un rapporto di lavoro senza tutele e delimitato temporalmente.
A questi, vanno aggiunti i lavoratori che prestano opera tramite voucher e quelli sotto forma di associazione in partecipazione, i quali, da luglio, quando cioé, scadrà il periodo di agevolazione per i versamenti previdenziali, hanno già pronto il proprio spazio nel calderone dei contributi silenti, così come tutte le altre categorie di precari.
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