Tutto nasce dal blocco attuato dal Governo Monti a fine 2011 “per necessità di bilancio” dell’adeguamento all’inflazione degli assegni pensionistici superiori 3 volte il minimo (pari circa a 1.400 euro) per il periodo 2012-2013. Il provvedimento del Governo Monti era stato bocciato dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 70/2015, alla quale aveva fatto seguito il decreto legge n. 65/2015 che riconosceva in maniera parziale (pagando 2,8 miliardi rispetto ai 24,1 risparmiati con il blocco) la rivalutazione non effettuata anche sugli anni successivi.
Consulta lo Speciale Riforma Pensioni
Ora la Consulta si è espressa respingendo le censure di incostituzionalità del d.l. 65/2015 che ha inteso “dare attuazione ai principi enunciati nella sentenza della Corte costituzionale n. 70 del 2015”. Per i giudici “la nuova e temporanea disciplina prevista dal decreto-legge n. 65 del 2015 realizzi un bilanciamento non irragionevole tra i diritti dei pensionati e le esigenze della finanza pubblica“.
Ricordiamo che il decreto prevede una perequazione così suddivisa:
- 100% solo per gli assegni pensionistici equivalenti a 3 volte il minimo,
- 40% tra 3 e 4 volte il minimo,
- 20% tra 4 e 5 volte il minimo,
- 10% tra 5 e 6 volte il minimo,
- nessuna rivalutazione per tutti gli assegni che vanno oltre sei volte il minimo.
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