Nel caso preso in esame dai Giudici della Suprema Corte, l’Ente previdenziale aveva comunicato erroneamente ad un lavoratore che i 18 mesi di mobilità sarebbero stati sufficienti per accedere alla pensione, così quest’ultimo aveva rinunciato a impugnare il licenziamento. Al momento della domanda della Pensione, il lavoratore aveva ricevuto risposta negativa proprio dall’Inps perché quei 18 mesi di mobilità non erano sufficienti.
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Secondo la Cassazione “in tema di erronea comunicazione al lavoratore, da parte dell’Inps, della posizione contributiva utile al pensionamento, l‘ente risponde del danno derivatone per inadempimento contrattuale, salvo che provi che la causa dell’errore sia esterna alla sua sfera di controllo e l’inevitabilità del fatto impeditivo nonostante l’applicazione della normale diligenza”.
I giudici ribadiscono che “la comunicazione da parte degli enti ha valore certificativo della situazione in essa descritta”, non richiede per questa comunicazione speciali forme, bastando la comprensibilità del cittadino munito del livello di istruzione obbligatoria, né alcuna norma prevede parti di essa meramente incidentali e accessorie, delle
quali il destinatario debba tener conto a suo rischio”.
In generale precisano che gli atti delle pubbliche amministrazioni hanno valore di veridicità e non possono essere considerati “come asserzioni su cui la prudenza richieda di non fare assegnamento”.
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