Dai dati del rapporto Education at a glance, pubblicato il 12 settembre scorso, emerge come nel nostro Paese, nella fascia d’età compresa tra i 15 ed i 64 anni, solo il 15% delle persone è laureato o ha un titolo di studio equivalente, a fronte di una media Ocse del 31% (prevista in decrescita per il prossimo decennio) ed una media dell’Unione europea a 21 Paesi del 28%. In Europa, veniamo largamente sopravanzati da Gran Bretagna (38%), Francia (28%) e Germania (27%). La percentuale dei laureati negli ultimi 30 anni, inoltre, in Italia è cresciuta più lentamente che altrove.
Il nostro Paese registra, tuttavia, un primato per quanto riguarda l’accesso all’insegnamento universitario dei giovani con genitori dal basso livello di istruzione, davanti a Germania, Austria, Francia e Belgio, segno che l’università è ancora (nonostante tutto) realmente considerata dalla famiglie come un’opportunità per migliorare la futura posizione professionale delle giovani generazioni. Con una percentuale di accesso del 27% di giovani, a fronte di un 58% di famiglie con genitori poco istruiti, l’Italia si attesta tra i primi in classifica con il buon rapporto tra le due quote pari allo 0,46%.
Andiamo male (al quinto posto tra i Paesi Ocse), invece, per quanto riguarda il fenomeno dei cosiddetti “Neet” (Not in education, employment or training), giovani di età compresa tra i 15 ed i 29 anni che non studiano e non lavorano, con una percentuale del 23%, in crescita rispetto ai primi anni Duemila quando la quota era scesa al 16%.
Sulla percentuale complessiva della spesa pubblica in Italia, solo il 9% viene destinato all’istruzione: in rapporto al Pil siamo al 4,7%, contro il 5,8% della media Ocse. Più avari di noi nei confronti della scuola, tra i grandi Paesi industrializzati, solo i Giapponesi, al primo posto della graduatoria.
Ma la situazione italiana, come si diceva, non è uniforme, presenta accanto alle ombre anche delle luci: siamo, ad esempio, sopra la media per la scuola dell’infanzia (noni su 34 Paesi, con quasi 8.000 dollari di spesa media per studente) e la primaria (decimi su 35). La scuola dell’infanzia e le elementari si confermano, infatti, i due maggiori punti di forza del sistema scolastico italiano, con uno dei livelli più elevati di frequenza (97% per i soli bambini di 4 anni) della zona Ocse.
L’Italia ha, infine, i professori mediamente più anziani d’Europa e dell’area Ocse. Sempre secondo il rapporto Education at a glance, il 58% dei professori di scuola secondaria ha più di 50 anni, solo il 10% meno di 40. Fotografia dello scarso ricambio generazionale, dovuto anche al blocco delle assunzioni negli ultimi 10-15 anni. Il deterioramento dello status del mestiere di insegnante in Italia è testimoniato, tra le altre cose, anche dai loro stipendi, decisamente più bassi rispetto a quelli degli altri lavoratori con un’istruzione universitaria.
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