Tutto questo è incomprensibile. Ciononostante, non si riesce a circoscrivere lo stato emotivo delle collettività. Indignazione? Rabbia? Vergogna? Certamente tutte queste. Ciò che preoccupa è però che a queste legittime sensazioni se ne stia sovrapponendo un’altra: la rassegnazione.
Rassegnazione alle povertà di oggi alle quali ci si adegua nel viverle e nel constatarle, spesso cinicamente. Rassegnazione ad una politica retribuita dai cittadini per le sue campagne elettorali, condotte all’insegna delle frottole e delle promesse, che gli ingenui divorano. Ai partiti che vengono persino (super)retribuiti per scegliere i parlamentari che vogliono, prescindendo dal giudizio dei rappresentati. Nei confronti di un debito di 2.000 miliardi da ripianare a ratei annui da 50 miliardi, pena la fine della Grecia, con le sue ricchezze oramai in svendita al migliore offerente asiatico o della nuova Russia.
Ma anche rassegnazione agli appellativi offensivi (sfigati) che propina agli ultraventottenni, con assoluta nonchalance, chi ne sa poco di cosa voglia dire lavorare per potere studiare, ma anche contemporaneamente per vivere. Chi, sulla scia del sillogismo bamboccioni e/o dell’attribuzione gratuita di falliti, quasi schernisce tutti quei giovani che attendono il posto fisso (ma quale?) vicino casa dei genitori. O peggio, chi definisce noioso il posto fisso, tanto da aver istigato tanti giovani a rifiutarlo.
Ma dove? Abbiamo giovani che, a differenza dei padri assistiti e clienti della politica, pur di lavorare sono disposti a qualsiasi sacrificio. E ce lo dicono su facebook e su twitter, ove si ritengono offesi dichiarando che “questo governo ci insulta ogni settimana e dimostra di non conoscere la realtà del Paese” (Corsera, dixit). Forse un po’ esagerato il ricorso all’offesa, così definita dal linguaggio diretto giovanile. Più veritiera la mancata conoscenza del medesimo dei problemi reali, quelli che affliggono milioni di cittadini comuni. Ciò avviene forse perché impegnato a volare troppo alto. Perché così lo vuole la crisi. Perché così lo pretendono l’Unione Europea e i mercati.
Tutto questo però non esime dal “volare anche basso”. Dallo sporcarsi le mani con i mali che affliggono la nazione intera. Quella fatti di padri di famiglia allo spasimo e alle prese con la mobilità sempre dietro l’angolo. Quella fatta dai figli che non lavorano e, quando riescono a farlo affollando i call-center, ove vengono sfruttati come lo furono i loro bisnonni emigrati per non morire. Quella fatta di donne che, troppo spesso offese e confuse, fanno fatica ad esigere i diritti normali. Quella degli anziani che campano figli e nipoti con le loro pensioni.
E non è tutto. Perché rispetto a questo occorre che questo Governo, pieno di saperi e di storia apprezzabile, tenga conto delle aggravanti (ahinoi!) incolpevoli. Quelle aggravanti dello stato di disagio sopportato dai padri e dai figli, dalle donne e dagli anziani del Mezzogiorno. Un territorio che, predato delle ricchezze e depredato dall’emigrazione del bisogno, ha finito di essere emorragico per dissanguamento e, dunque, esanime, tanto da non meritare neppure un minimo impegno programmatico. Che dico, di una frase del Governo, che si spende tanto in chiarimenti e apparizioni televisivi.
Quali saranno le risposte? Si spera tanto che non siano le solite. Sarebbe assurdo che Mario Monti cominciasse ad imitare quelli di sempre. Sarebbe la fine senza più un inizio.
Anche la società a responsabilità ad un euro è una farsa, da vecchia democrazia cristiana, quella che spero sia solo un ricordo. Come si può, infatti, pretendere che ci sia qualcuno che dia credibilità ad iniziative simili? Chi credito bancario? Ma anche chi credito commerciale, a tal punto da acquisire da tali società beni e servizi?
Il premier Monti saprà certamente cambiare marcia e percorrere la risalita a più velocità, facendo si che la gente comune riesca a stargli dietro senza (prima) morire (anche di rabbia).
Scrivi un commento
Accedi per poter inserire un commento