Obama 2012: l’America sembra uguale a prima, invece è completamente diversa

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È proprio vero che bisogna che tutto cambi perché tutto rimanga uguale. Anche negli Stati Uniti, dove al termine della campagna elettorale più costosa di tutti i tempi il presidente è sempre Barack Obama, il Senato è sempre democratico e la House of Representatives è sempre repubblicana.

A McCormick Place, Chicago, il riconfermato presidente Obama ha concluso poco fa il suo discorso. La festa democratica nella città quartier generale del presidente andrà avanti tutta la notte, mentre a Boston l’atmosfera è decisamente più pesante.

Romney si è fatto attendere a lungo prima di salire sul palco per dichiarare l’accettazione della sconfitta, i dati dell’Ohio erano troppo simili tra i due contendenti perché il candidato repubblicano alzasse bandiera bianca immediatamente, specialmente visto che negli attimi successivi all’assegnazione ai democratici del Buckeye State le stime del voto popolare lo davano ancora in vantaggio.

Obama non ha solo vinto l’Ohio (senza il quale la profezia vuole che nessun repubblicano abbia speranze di vittoria), ma si è aggiudicato addirittura la Virginia. Per tutta la serata l’Old Dominion aveva lampeggiato di rosso nelle mappe dei cronisti politici, per poi sospendere i conteggi per un’ora tra le 20 e le 21 ora di New York al fine di consentire agli elettori ancora in fila ai seggi di esprimere il proprio voto senza subire l’influenza degli exit poll incalzanti. Una mezz’ora dopo la chiamata dell’Ohio per i Dem, anche la Virginia si è tinta di blu costringendo i repubblicani a gettare la spugna. Nel breve lasso di tempo successivo a questo evento, anche il dato del voto popolare ha visto Obama superare Romney per poche centinaia di migliaia di voti, anche se il risultato finale in questo caso si conoscerà solo nel corso dei prossimi giorni.

Il discorso di Romney è stato breve e signorile. Difficile credere che non fosse stato preparato, come aveva sostenuto lo stesso candidato durante la giornata in un’affermazione di sicurezza sull’esito dell’elezione. Romney ha ringraziato Ryan, la sua migliore scelta al di là di sua moglie Ann, che “sarebbe stata una perfetta First Lady”. Un lapsus freudiano ha fatto sì che Romney lodasse la moglie per la sua “campagna” anziché per la sua “compassione”. Il candidato repubblicano si è immediatamente corretto, ma lo scivolone è stato notato dagli osservatori più accorti.

Romney ha ricordato che l’America vive un momento di grandi sfide e ha espresso il suo sostegno al rieletto presidente Obama, al quale andranno le sue preghiere perché sappia guidare la nazione. Della nazione Romney ha sottolineato i valori fondanti come onestà, carità, integrità e famiglia, e ha detto di credere “nel popolo americano”, forse con un velato riferimento ai sondaggi che lo vedevano ancora in lieve vantaggio rispetto ad Obama a livello popolare.

Quando è salito sul palco con la First Lady Michelle e le due figlie Sasha e Malia, Obama ha ringraziato Joe Biden “il guerriero allegro”, la sua famiglia, il “miglior team nella storia della politica”, e lo stesso Romney, omaggiando la storia dei Romney come famiglia di servitori della nazione (il padre di Mitt, George W. Romney, fu governatore del Michigan negli anni ’60 e candidato presidente nel 1968).

Obama si è inoltre detto impaziente di sedersi al tavolo con il suo rivale sconfitto, per elaborare quelle strategie di rilancio del paese che possono essere messe in pratica solo con il sostegno di tutte le sue componenti.

The Best is Yet to Come”, ha detto il presidente, che ha ringraziato l’America, “unica grande famiglia”, per averlo sostenuto nonostante tutte le difficoltà e le “frustrazioni” provocate “da Washington”. Obama si è detto più ispirato e determinato che mai, pieno di speranza verso il futuro e verso l’America stessa a cui ha chiesto di continuare sostenere la speranza, che è “questa cosa testarda che è dentro di noi che dice che ci sono cose migliori che ci aspettano lavorando sodo”.

Di lavoro da fare il presidente ne ha senz’altro molto e deve cercare di portarlo a termine al di là delle frammentazioni dimostrate da questa elezione. A riguardo il presidente ha detto che “l’America non è divisa come sembra” perché l’eccezionalità di questa nazione è proprio la condivisione di un destino comune tra tutti i suoi abitanti, così diversi tra loro. “La democrazia è incasinata, rumorosa e complicata, smuove passioni e controversie e continuerà ad essere così. In molti paesi del mondo si muore per la possibilità di essere in disaccordo”, Obama sottolinea.

L’America è bella perché è varia e passionale e perché “tutti possono farcela qui se hanno voglia di provare”, non importa chi siano, da dove vengano, in quale etnia o orientamento sessuale si identifichino. In questa frase è condensato l’elettorato di Barack Obama, quello delle minoranze che diventano determinanti, quell’elettorato che ha garantito al presidente altri 4 anni di tempo per implementare le riforme e realizzare gli altri progetti posti in essere durante il primo term. Obama li menziona tutti: Obamacare, il Dream Act, il ritiro dall’Afghanistan, la ripresa economica, l’educazione per tutti, la sicurezza e la pace. Obama cita anche il cambiamento climatico, un tema caldo dopo Sandy, uragano rovinosissimo ma non come lo fu Katrina per i repubblicani.

Le minoranze, dicevamo. Il 71% degli ispanici ha votato per Obama e 4 milioni di ispano-americani in più si sono registrati per votare in questa elezione rispetto al 2008. Il margine di gradimento dei repubblicani presso gli ispanici è ai minimi storici: 21%. McCain aveva fatto meglio (31%), perfino Bush (40%) ci era riuscito. In alcuni stati, come nel Nevada tradizionalmente repubblicano, il voto degli ispanici è stato determinante per far pendere la bilancia dal lato blu. Anche le donne sono state un fattore chiave, ad esempio in Iowa dove il gradimento di Obama è stato altissimo (71% tra le nubili, 47% tra le coniugate). A livello nazionale, il 55% delle donne americane ha sostenuto il presidente.

Dal 2013 anche il Senato sarà più rosa: le donne rappresenteranno infatti il 20% del totale. Tra queste ci sarà anche Tammy Baldwin del Wisconsin, la prima lesbica eletta alla camera alta, dove la maggioranza democratica sarà composta prevalentemente da donne come lei e da esponenti delle altre minoranze, tutt’altro che minori. Anche il 60% dei giovani ha inteso riconfermare il presidente in carica.

Insomma bisogna fare attenzione: in superficie sarà anche vero che tutto è rimasto uguale, ma le nuove alchimie all’interno del Parlamento americano raccontano la storia di una nazione che cambia, si evolve, ricalibra le sue priorità e le sue componenti. Non è poi così vero che Obama non sa parlare all’uomo bianco del Sud. Forse è vero il contrario: il partito dell’elefante ha perso il contatto con quelle componenti del melting pot USA che oggi guadagnano rilevanza. Segnali da cogliere, per il futuro, tra altri 4 anni. Nel frattempo lasciamo finire a Obama quello che ha iniziato, e speriamo che questa sera abbia avuto ragione nel dire che “l’America non è una questione di stati blu e rossi”.

Francesca Giuliani

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