Nuovo Codice Appalti: basta agli affidamenti fiduciari. Ecco cosa cambia

Luigi Oliveri 09/06/16
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La riforma del Codice degli Appalti dà uno scossone agli incarichi fiduciari o anche a quelli di limitato valore “allo scopo di favorire le imprese locali”.

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Una delle conseguenze più rilevanti del d.lgs. 50/2016 è avere messo definitivamente in luce che nel campo degli appalti (come, del resto, anche in qualsiasi campo di azione della p.a.) non vi può essere spazio per gli affidamenti “fiduciari”.

La riforma del codice dei contratti dà uno scossone in particolare agli incarichi ancora da molti ritenuti appartenere ad un’area “protetta”, come quelli agli avvocati, o anche a quelli di limitato valore “allo scopo di favorire le imprese locali”.

I principi fissati sia dall’articolo 4, relativo agli appalti esclusi dal campo di applicazione del codice, sia dall’articolo 30, riguardante tutti gli altri appalti, sono estremamente chiari nel negare ogni possibilità di connettere l’affidamento di una prestazione di lavori, servizi o forniture a presunte, ma imperscrutabili e non motivate, capacità di opportunità ed intuito dell’amministrazione aggiudicatrice e, per essa, del dirigente o responsabile di servizio, di individuare quell’unico prestatore capace di realizzare al meglio l’appalto, senza consultare o dimostrare di aver consultato nemmeno un limitatissimo spicchio di mercato.

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I principi delle norme citate prima sono i seguenti:

Articolo 4 Articolo 30
economicità,

efficacia,

imparzialità,

parità di trattamento,

trasparenza,

proporzionalità,

pubblicità,

tutela dell’ambiente ed efficienza energetica

economicità,

efficacia,

tempestività,

correttezza,

libera concorrenza,

non discriminazione,

trasparenza,

proporzionalità, nonché di pubblicità con le modalità indicate dal d.lgs. 50/2016

I principi, in particolare, di imparzialità e parità di trattamento per i contratti “esclusi” e quelli di correttezza, libera concorrenza e non discriminazione, per gli altri, impediscono di per sé qualsiasi decisione delle stazioni appaltanti di negoziare solo con un operatore economico, in assenza di specifiche motivazioni.

La possibilità di affidare direttamente una prestazione, per “fiducia” nel destinatario, non può essere giustificata da fattori oggettivi, in presenza delle norme citate sopra. L’esclusione del contratto dal campo di applicazione del codice impone, comunque, di rispettare l’imparzialità e la parità di trattamento, che presuppongono l’escussione di una pluralità di soggetti con cui negoziare l’affidamento; il valore contenuto dell’importo in ogni caso, per i contratti inclusi, li attrae nel campo di applicazione dei principi dell’articolo 30 e l’obbligo di motivare l’affidamento diretto esplicitato dall’articolo 36, comma 2, lettera a), per altro solo ripetitivo dell’obbligo generale di motivare qualsiasi provvedimento amministrativo, induce a far emergere in particolare il rispetto dei principi di correttezza, libera concorrenza e non discriminazione, con i quali una consultazione diretta di un solo e unico operatore economico si scontra frontalmente.

Al di là di queste previsioni, ad impedire radicalmente un affidamento diretto privo di una motivazione (che risulti diversa da quelle previste dall’articolo 63 del codice) è anche un’altra norma fondamentale, promanazione diretta della disciplina anticorruzione, la quale, è bene ricordarlo, costituisce una fonte “esterna” ma strettamente collegata alla disciplina degli appalti, visto che si tratta di un’area a forte rischio di corruzione ai sensi dell’articolo 1, comma 16, della legge 190/2012.

Si tratta dell’articolo 42 del codice, ai sensi del quale “Le stazioni appaltanti prevedono misure adeguate per contrastare le frodi e la corruzione nonché per individuare, prevenire e risolvere in modo efficace ogni ipotesi di conflitto di interesse nello svolgimento delle procedure di aggiudicazione degli appalti e delle concessioni, in modo da evitare qualsiasi distorsione della concorrenza e garantire la parità di trattamento di tutti gli operatori economici”.

Come si nota, la disposizione richiama espressamente alcuni principi enunciati dagli articoli 4 e 30 del codice, riferendosi in particolare alla garanzia della concorrenza e alla parità di trattamento. La norma è, quindi, chiarissima: di per sé la negazione della concorrenza e della parità di trattamento sono un potenziale rischio di corruzione, legato a conflitto di interessi. Ed è ovvio che la concorrenza e la parità di trattamento si vulnerano quando ci si rivolge ad un solo operatore: infatti, non si apre il mercato e non si consente a nessuno di concorrere col soggetto individuato unilateralmente.

Del resto, è opportuno ricordare che il Piano Nazionale Anticorruzione del 2013 ha considerato come “rischio specifico” di corruzione esattamente gli affidamenti diretti.
È noto quali siano le modalità utili per contrastare i rischi di corruzione: la prima e fondamentale è la trasparenza. Essa, però, non consiste soltanto nelle sue componenti più intuitive e, cioè, la disponibilità degli atti e la loro pubblicità (specie se solo successiva). La trasparenza consiste anche nell’agire trasparente, nel dimostrare, cioè, che l’azione della p.a. non è inquinata da interessi privati.

Ora, è chiaro che laddove un’amministrazione aggiudicatrice vada diretta verso un solo operatore economico, senza minimamente preoccuparsi di verificare se nel mercato ve ne siano altri in grado di rendere la prestazione, il rischio di corruzione e, in particolare, di conflitto di interessi si accentua, se non si è in grado di spiegare la ragione per la quale si adotta tale scelta.

Il problema è che motivare l’affidamento diretto col rapporto di fiducia, significa certificare esattamente la sussistenza del conflitto di interessi. Ai sensi del comma 2 dell’articolo 42 del codice dei contratti, “si ha conflitto d’interesse quando il personale di una stazione appaltante o di un prestatore di servizi che, anche per conto della stazione appaltante, interviene nello svolgimento della procedura di aggiudicazione degli appalti e delle concessioni o può influenzarne, in qualsiasi modo, il risultato, ha, direttamente o indirettamente, un interesse finanziario, economico o altro interesse personale che può essere percepito come una minaccia alla sua imparzialità e indipendenza nel contesto della procedura di appalto o di concessione. In particolare, costituiscono situazione di conflitto di interesse quelle che determinano l’obbligo di astensione previste dall’articolo 7 del decreto del Presidente della Repubblica 16 aprile 2013, n. 62”.

Un rapporto fiduciario tra organo dell’amministrazione aggiudicatrice ed operatore economico di per sé configura la presenza di un interesse personale, dovuto a confidenza o altri aspetti esogeni rispetto all’obbligo di consultare il mercato in modo imparziale, sì da generare di per sé il conflitto di interessi.

Luigi Oliveri

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