Mansioni lavorative: cosa fare quando non corrispondono al contratto di lavoro

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All’atto dell’instaurazione di un rapporto di lavoro, il datore del lavoro nella lettera di assunzione, oltre a indicare la tipologia di contratto di lavoro (indeterminato, a termine, full time, part time, ecc.), all’orario di lavoro, alla retribuzione e livello, deve descrivere altresì la specifica mansione del dipendente. Si tratta di un dato obbligatorio al fine di stabilire a quale livello appartiene il dipendente, nonché a quale retribuzione abbia diritto. Si ricorda, infatti, che per ciascun livello i contratti collettivi nazionali del lavoro (CCNL) prevedono una molteplicità di mansioni. Ad esempio, nel CCNL Terziario Commercio-Confcommercio il cassiere comune è inquadrato al quarto livello, che corrisponde a una retribuzione di circa 1.619 euro. Quindi, la mansione indicata nel contratto di assunzione determina anche la retribuzione che il dipendente andrà sostanzialmente a percepire.

Ma cosa accade se il datore di lavoro decide improvvisamente di modificare le mansioni lavorative? Ad esempio, anziché svolgere la mansione di cassiere comune, il datore di lavoro decide che la risorsa dovrà essere spostata nel reparto commesse. La decisione rientra tra i poteri del datore di lavoro di “fare impresa”? Può l’azienda modificare l’organizzazione lavorativa di alcuni dipendenti per aumentare la produttività, anche se la scelta cambia (in peggio) la mansione del lavoratore. Ecco quello che c’è da sapere.

Mansioni lavorative: come funziona lo ius variandi

Quando si parla di modifiche delle mansioni originariamente stabilite, occorre innanzitutto comprendere se il cambiamento incide anche sul cambio di livello, o addirittura sulla categoria legale (dirigenti, quadri, impiegati e operai). Infatti, ciò determinerebbe la possibilità o meno da parte del datore di lavoro di cambiare la mansione.

A tal fine, occorre preliminarmente introdurre il concetto dello “ius variandi”, disciplinato dall’art. 2103 cod. civ. Si tratta di un istituto che permette al datore di lavoro di adibire il lavoratore a mansioni diverse da quelle per le quali è stato inizialmente assunto, in un’ottica di maggiore flessibilità per le imprese, e soprattutto, in tal modo riducendo lo spazio per i licenziamenti per motivi oggettivi.

Si ricorda, al riguardo, che quando si parla di “ius variandi” s’intende:

  • sia il cambio di mansione in “orizzontale”, ossia attribuzione di mansioni equivalenti a quelle per le quali il dipendente è stato assunto;
  • sia il cambio di mansioni in “verticale”, vale a dire assegnazione a mansioni di carattere superiore, ovvero assegnazione a mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore (cd. demansionamento).

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Demansionamento: quando è lecito e quando no

Fermo restando che il lavoratore può svolgere solo le mansioni per le quali è stato inizialmente assunto, o comunque mansioni equivalenti (nello stesso livello, quindi senza cambio di retribuzione), la nuova formulazione dell’art. 2103 cod. civ. consente – in alcuni casi – assegnare il lavoratore a mansioni appartenenti a un livello di inquadramento inferiore.

Sul punto, occorre premettere che il demansionamento è possibile esclusivamente se la modifica non interessa il cambio di categoria legale. Ad esempio, se il datore di lavoro decide di cambiare mansione a un dirigente, di certo non può retrocederlo a impiegato o operaio. In altri termini, il demansionamento è lecito solo se il cambio mansioni provochi una modifica del livello, ma non della categoria legale.

Ciò detto, il demansionamento è ammesso solo nei seguenti casi:

  • modifica degli assetti organizzativi aziendali che incide sulla posizione del lavoratore;
  • rispetto dell’obbligo formativo se previsto dal tipo di mansione da svolgere;
  • nelle ipotesi previste dai contratti collettivi nazionali del lavoro.

Quindi, esclusivamente nei suddetti casi si può modificare in modo peggiorativo le mansioni del lavoratore, non essendo possibile adottare provvedimenti unilaterali da questo punto di vista.

In estrema sintesi, il demansionamento può riguardare soltanto le mansioni relative al livello di inquadramento immediatamente inferiore rispetto a quello in cui è collocato il dipendente, e comunque sempre se ciò non comporti la retrocessione in una categoria legale inferiore a quella di appartenenza ex art. 2095 cod civ.

Mansioni lavorative diverse: obbligo formativo e comunicazione scritta

Per procedere al demansionamento è necessario procedere secondo un modus operandi previsto sempre dalla nuova formulazione dell’art. 2103, che prevede:

  • l’assolvimento dell’obbligo formativo;
  • la comunicazione per iscritto.

In merito al primo punto, la norma dispone che il mutamento di mansioni debba essere accompagnato, ove necessario, dall’assolvimento dell’obbligo formativo, il cui mancato adempimento non determina comunque la nullità dell’atto di assegnazione delle nuove mansioni.

Il mutamento di mansioni, inoltre, deve essere comunicato per iscritto, a pena di nullità, e il lavoratore ha diritto alla conservazione del livello di inquadramento e del trattamento retributivo in godimento, fatta eccezione per gli elementi retributivi collegati a particolari modalità di svolgimento della precedente prestazione lavorativa.

Mansioni lavorative: modifica della categoria legale

La modifica della categoria legale è sempre vietata? Secondo la nuova formulazione dello ius variandi no. Infatti, nelle sedi di cui all’art. 2113, quarto comma, o avanti alle commissioni di certificazione, possono essere stipulati accordi individuali di modifica delle mansioni, della categoria legale e del livello di inquadramento e della relativa retribuzione.

A tal fine è necessario che sia presente un interesse del lavoratore a farsi assegnare a mansioni diverse. In particolare, è necessario che figuri un:

  • interesse del lavoratore alla conservazione dell’occupazione, che è l’ipotesi in cui più di frequente si arriva al declassamento;
  • acquisizione di una diversa professionalità;
  • miglioramento delle condizioni di vita (è il caso, ad esempio, del lavoratore che preferisce una mansione diversa per ridurre lo stress).

Il lavoratore in tali circostanze può farsi assistere da:

  • un rappresentante dell’associazione sindacale cui aderisce o conferisce mandato;
  • un avvocato;
  • un consulente del lavoro.

Mansioni lavorative superiori: quando sono lecite

Cosa succede se il datore di lavoro decide di assegnare il lavoratore a mansioni superiori rispetto al livello di inquadramento?

In tal caso, il lavoratore ha diritto al trattamento corrispondente all’attività svolta e l’assegnazione diviene definitiva, salvo diversa volontà del lavoratore, ove la medesima non abbia avuto luogo per ragioni sostitutive di altro lavoratore in servizio, dopo il periodo fissato dai contratti collettivi o, in mancanza, dopo sei mesi continuativi.

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Daniele Bonaddio

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