Libero insulto in libero Stato

Redazione 28/06/11
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Sgarbi, un profeta del nostro tempo?

Ci piace ricordare, tra le tante, questa frase del politico e critico d’arte Vittorio Sgarbi, riportata da La Stampa di Torino: “sono contrario alla paternità. Quella del padre non è una categoria a cui ritengo di dover appartenere. Ciò detto sono anche contrario all’aborto. Ci sono donne che hanno voluto figli da me, non io da loro perché non può esserci l’obbligo di diventare padre”.

E’ un’opinione, di certo discutibile, ma non è ancora un insulto (almeno in termini giuridici).

Era invece un insulto (tra ingiuria e diffamazione) quello pronunziato, nel corso del programma “Sgarbi quotidiani”, contro l’allora giudice Gherardo Colombo, definito, insieme ad altri suoi colleghi, «magistrati mediocri che, mossi da ostilità verso altro magistrato … di gran lunga di loro più meritevole e capace, gli avevano impedito una importante progressione in carriera, rendendo all’organo di autogoverno della magistratura “dichiarazioni” tali da “bloccargli” la strada».

La Camera dei Deputati aveva ritenuto (al solito) che l’opinione espressa dall’allora parlamentare non fosse censurabile, “diversamente opinando il suo sindacato comprometterebbe l’esercizio del mandato parlamentare, che la Costituzione vuole libero (art. 67 Cost.).

Libero insulto dunque?

Non proprio. L’art. 67 della Costituzione prevede solo che ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincoli di mandato”.

La Camera aveva pure affermato “la insindacabilità, a norma dell’art. 68, primo comma, Cost., delle opinioni espresse dall’on. Sgarbi”.

Ma l’art. 68 della Costituzione si limita a prevedere che i membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell’esercizio delle loro funzioni”.

E allora, veniamo al punto:

L’onorevole Sgarbi, durante il programma televisivo “Sgarbi quotidiani”, stava esercitando le sue funzioni di membro del Parlamento?

No, secondo la Cassazione, che ha infatti presentato ricorso alla Consulta avverso la delibera di insindacabilità, affermando che “il programma ‘Sgarbi quotidiani’ era una mera vetrina televisiva nella quale quel deputato prestava, dietro corrispettivo, la propria attività privatistica di conduttore”.

La Corte Costituzionale, con la sentenza depositata lo scorso 24 giugno, ha dato ora pienamente ragione alla Cassazione, affermando dunque che (qualche volta) anche gli insulti dei parlamentari sono sindacabili …

La sentenza integrale

Redazione

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