La corte costituzionale salva le province. Bocciata la riforma

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Nella camera di consiglio di ieri, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità della riforma delle Province fortemente voluta dal Governo Monti. I giudici costituzionali, infatti, hanno ritenuto non conformi ai parametri costituzionali invocati nei ricorsi sia la trasformazione delle Province in enti locali territoriali di secondo livello, sia la procedura di riordino/riorganizzazione strenuamente portata avanti dall’ex Ministro Filippo Patroni Grifi. In attesa di studiare nel dettaglio le motivazioni addotte da Palazzo della Consulta, mi sembrano tre gli aspetti che si possono ricavare da questa decisione:

1) il decreto-legge non è la fonte idonea per una riforma organica e complessiva delle Province; 2) la Corte riconosce che il procedimento dell’art. 133, comma 1, Cost., concernente la modifica delle circoscrizioni provinciali, debba applicarsi per ogni ipotesi di mutamento del territorio provinciale; 3) lo Stato non può, con propria legge, predeterminare a priori i criteri (quello della estensione territoriale e della consistenza demografica) di riordino delle Province, violando così l’iter di modifica dal basso (che vede coinvolti i Comuni) di cui sempre all’art. 133, comma 1, Cost.

Diversamente da chi sostiene che questa sentenza di accoglimento della Corte costituzionale produrrà un vuoto normativo, tesi peraltro più volte esclusa dalla stessa Consulta e da parte della dottrina, sono del parere che si abbia un’immediata reviviscenza di quelle disposizioni normative abrogate dal decreto-salva Italia e da quello sulla spending review, con la conseguenza che si dovrà procedere al rinnovo del Consiglio provinciale e all’elezione diretta del Presidente nella prima tornata elettorale utile, come del resto prescrive l’art. 141, comma 4, del Testo unico enti locali. 

Daniele Trabucco

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