Imposta di soggiorno e ruolo dei gestori delle strutture ricettive

DL 24/04/2017 n 50, convertito con modificazioni dalla L. 21/06/2017 n. 96: i comuni possono istituire, per il 2017, l’imposta di soggiorno

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Il portiere d’albergo perde molto del suo fascino romantico disegnato in molti film ed anziché essere l’amico ed il confidente di una sera, diventa un po’ esattore, un po’ agente contabile, forse responsabile d’imposta anche se non ancora sostituto.

L’articolo 4 del D. Lgs. n. 23 del 2011 ha introdotto l’imposta di soggiorno, attribuendo la possibilità di istituire il tributo ai Comuni capoluogo di provincia, alle unioni di Comuni, nonché ai Comuni inclusi negli elenchi regionali delle località turistiche o città d’arte.

Con la conversione in legge del decreto 24 aprile 2017, n. 50, l’imposta di soggiorno è stata esclusa dal blocco delle aliquote dei tributi locali, voluto con legge di stabilità 2016 e confermato per il 2017 dalla legge 11 dicembre 2016 n. 232 (legge di bilancio 2017).

La nuova disposizione contenuta nell’art. 4, comma 7, del decreto elimina il blocco e consente di istituire per la prima volta l’imposta di soggiorno1, ovvero di modificare le misure del tributo se già istituito.

A decorrere dal 2017, gli enti che possono applicare l’imposta di soggiorno (o il contributo di soggiorno per Roma capitale) hanno la facoltà di istituire o rimodulare il tributo.

Il riferimento al 2017 deroga, di fatto, al limite del 31 marzo 2017 (data fissata per l’approvazione dei bilanci) per l’istituzione dell’imposta, la sua regolamentazione e la fissazione delle aliquote.

Resta da comprendere quale sia la natura del ruolo delle strutture ricettive.

Secondo la Corte dei Conti (sezioni riunite, sentenza 22, depositata il 22 settembre 2016), i gestori delle strutture ricettive che riscuotono l’imposta di soggiorno sono agenti contabili.

Il quadro normativo di riferimento va, essenzialmente, individuato oltre che nella normativa sull’imposta di soggiorno, nell’art. 178 del R.D. n. 827/1924, i cui principi sono ribaditi nel T.U.E.L. n. 267/2000, che, in particolare, all’art. 93, comma 2, recita: “il tesoriere ed ogni altro agente contabile che abbia maneggio di pubblico denaro o sia incaricato della gestione dei beni degli enti locali, nonché coloro che s’ingeriscano negli incarichi attribuiti a detti agenti devono rendere il conto della loro gestione e sono soggetti alla giurisdizione della Corte dei conti secondo le norme e le procedure previste dalle leggi vigenti”.

La conclusione alla quale giungono i magistrati aditi è che non può essere disconosciuto un contenuto prettamente contabile ad un rapporto di servizio, attivato per la riscossione ed il riversamento di denaro, e, quindi, implicante la “disponibilità materiale” di denaro pubblico.

Nel caso dell’imposta di soggiorno è palese il carattere pubblico dell’ente per il quale chi riscuote agisce, trattandosi di un Comune, così come il carattere pubblico del denaro oggetto della gestione.

Il “maneggio di denaro pubblico” genera ex se l’obbligo della resa del conto, come evidenziato anche dalla Corte Costituzionale (sentenze n. 114/1975 e n. 291/2001).

I soggetti operanti presso le strutture ricettive, ove incaricati – sulla base dei regolamenti comunali previsti dall’art. 4, comma 3, del D. Lgs n. 23/2011 – della riscossione e poi del riversamento nelle casse comunali dell’imposta di soggiorno corrisposta da chi alloggia in dette strutture, assumono la funzione di agenti contabili, tenuti conseguentemente alla resa del conto giudiziale della gestione svolta.

L’individuazione del soggetto onerato della resa del conto è rimessa alla specifica regolamentazione locale, in mancanza di quella governativa.

Sussiste l’obbligo di “parifica” da parte delle amministrazioni locali dei conti depositati dai soggetti riscuotitori sulla base dei singoli regolamenti. I comuni devono individuare, all’interno delle proprie strutture, figure professionali incaricate della puntuale e tempestiva verifica della corretta e completa esposizione nel conto giudiziale della gestione svolta dall’agente contabile.

L’albergatore che incassa il corrispettivo potrebbe anche essere responsabile del pagamento dell’imposta di soggiorno di cui all’articolo 4 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, e del contributo di soggiorno di cui all’articolo 14, comma 16, lettera e), del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, nonché degli ulteriori adempimenti previsti dalla legge e dal regolamento comunale.

Lo è secondo l’Ifel (“Le novità sull’imposta di soggiorno introdotte dal decreto legge 50/2017 convertito nella legge 21 giugno 2017, n.96”, Roma, 10 luglio 2017) che ritiene la norma contenuta nel comma 5-ter dell’articolo 4, norma di carattere generale con riferimento a tutte le fattispecie assoggettate all’imposta di soggiorno. La disposizione si applicherebbe, quindi, indistintamente, a tutti i soggetti gestori di strutture o intermediari immobiliari che concedono alloggi ad uso abitativo, indipendentemente dalla durata e dalle diverse caratteristiche del rapporto con gli ospiti.

La norma non opera alcun richiamo espresso al regime fiscale delle locazioni brevi e dev’essere, pertanto, considerata di carattere generale.

Di parere contrario, però, è l’Associazione Nazionale degli Uffici Tributi Enti Locali (Anutel) che ritiene che la previsione sia limitata “alle sole locazioni brevi” e ciò per “la testualità della norma che richiama l’elemento canone o corrispettivo”.

L’art. 4 è denominato “regime fiscale delle locazioni brevi” e, quindi, sembrerebbe coerente e congruo escludere che la responsabilità si estenda comunque all’imposta di soggiorno (o contributo di soggiorno) incassata dal gestore di strutture ricettive.

La questione è controversa, poiché il riferimento al “canone” richiama univocamente le locazioni brevi, mentre quello al “corrispettivo” è indicativo, ma non dirimente e non può far escludere che siano ricompresi anche i pagamenti effettuati alla struttura ricettiva, che riscuote l’imposta di soggiorno (o il contributo di soggiorno).

Applicando il brocardo “quod lex voluit, dixit”, non si può non rilevare come per i commi 5 e 5bis il riferimento è espressamente limitato ai soggetti che esercitano attività d’intermediazione immobiliare, nonché quelli che gestiscono portali telematici, mettendo in contatto persone in ricerca di un immobile con persone che dispongono di unità immobiliari da locare, qualora incassino i canoni o i corrispettivi relativi ai contratti di locazione breve (indicati nei commi 1-3 dello stesso articolo) mentre tale riferimento è inesistente per il comma 5ter.

Qualora il legislatore avesse voluto limitare la responsabilità del pagamento dell’imposta ai soli affitti brevi lo avrebbe dovuto dire espressamente, come fa relativamente ai commi 5 e 5bis dello stesso articolo 4.

Non avendolo specificato ha lasciato aperte le due possibili rappresentazioni e diventa necessario un provvedimento interpretativo che chiarisca i termini della questione, per permettere ai comuni di scrivere correttamente la conseguente disciplina regolamentare.

Appare, invece, pacifico che il gestore di strutture ricettizie sia del tutto estraneo al rapporto tributario, essendo esclusa, nel silenzio della norma primaria, la possibilità che lo stesso assolva la funzione di “sostituto” (ex plurimis cfr: T.A.R. veneto n. 862/2014 e n. 653/2012, T.A.R. Toscana Sez. I n. 200/2013, T.A.R. Sicilia Sez. III n. 1399/2013, T.A.R. Lombardia n. 93/2013).

Per responsabile d’imposta s’intende un soggetto che è tenuto, per legge, al pagamento di un tributo insieme ad altri, per fatti e situazioni riferibili a questi ultimi, ed ha diritto di rivalsa.

Il responsabile d’imposta, la cui istituzione avvenire esclusivamente per legge, non è il soggetto passivo che manifesta capacità contributiva ed ha un diritto di rivalsa sugli obbligati principali dell’obbligazione tributaria per il pagamento dei tributi (turisti o soggiornanti).

Differentemente da quanto avviene nella figura del sostituto d’imposta, in cui il soggetto ha l’obbligo di rivalsa, il responsabile se decide di non rivalersi sui soggetti debitori principali dell’obbligazione tributaria, può farlo, senza contrastare l’art. 53 della Costituzione per il quale tutti sono tenuti a contribuire alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva.

Il sostituto d’imposta è, invece, il soggetto che la legge tributaria sostituisce completamente al soggetto passivo nei rapporti con l’amministrazione finanziaria. Infatti, l’art. 64, comma 1, del D.P.R. 600/73 definisce sostituto d’imposta “chi in forza di disposizioni di legge è obbligato al pagamento d’imposte in luogo di altri, per fatti o situazioni a questi riferibili ed anche e a titolo di acconto”.

Diversa è la nozione giuridica del responsabile d’imposta, definito dall’art. 64 del D.P.R. 600/73 come colui che “in forza di disposizioni di legge è obbligato al pagamento insieme con altri, per fatti o situazioni esclusivamente riferibili a questi”.

Tale figura è caratterizzata dal fatto che l’obbligazione tributaria ricade non solo su chi realizza il presupposto impositivo ma anche, in via solidale, su un altro soggetto che appunto viene detto responsabile d’imposta.

Luciano Catania

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