Mi sembrava, in estrema sintesi, che i primi libri avessero una qualità – direi quasi: una “energia” – ben superiore degli ultimi. E, lo confesso, per superare questa crisi, in questi anni, le ho provate tutte. Sono anche andato in pellegrinaggio più volte, per non far spegnere completamente la fiammella della passione, a Bologna da Franco Rossi, il ristorante in centro, in Via Goito, che propone un “menù Grisham” dopo esser stato citato dall’autore nordamericano nel suo diciottesimo romanzo, “The Broker”. Per i curiosi – e i viziosi – il menù è composto da un antipasto tiepido (insalata di funghi porcini con parmigiano e carpaccio di mela), dai classici tortellini in brodo di cappone, da filettini di vitello all’aceto balsamico tradizionale e da panna cotta al caramello.
Be’, dicevo, nonostante questi tentativi di rinfrescare il mio rapporto con Grisham, gli ultimi libri mi lasciavano sempre un po’ d’insoddisfazione in corpo. Troppo contorti, o troppo cinematografici, a volte vere e proprie sceneggiature già pensate per il cinema.
Appena terminato in questi giorni “I Contendenti”, l’ultima fatica dello scrittore di legal thriller, devo dire che la sensazione è stata quella di un ritorno ai fasti delle origini. Temi importanti (danni da farmaci e sperimentazione), tanto umorismo (il cane insegui-ambulanze che si desta e abbaia quando sente una sirena in lontananza è geniale), un surreale studio legale che si affaccia sull’incrocio pericoloso e che permette, così, di correre in strada in caso di incidenti con il biglietto da visita pronto ed evitando la concorrenza degli studi legali vicini, tanti eroi che non sono veri e propri eroi ma che risultano comunque simpatici al lettore, con i loro difetti ma anche con la loro etica e onestà di fondo.
La capacità di coniugare il tragico con il divertente è un lato nuovo di Grisham, una evoluzione chiara nella sua scrittura, il ridere un po’ sulle disgrazie che ha lo scopo di coinvolgere il lettore e di sdrammatizzare tante situazioni. Si pensi all’avvocato che scopre che un medicinale che potrebbe causare un attacco di cuore è lo stesso che assume l’odiata moglie, e si trova davanti a un dilemma etico non da poco: denunciare pubblicamente il fatto, e iniziare una class action contro la casa farmaceutica, o mantenere l’informazione segreta sperando che la moglie rompiscatole muoia al più presto? Obiettivamente sono dubbi non facili da gestire…
I temi sullo sfondo, senza voler anticipare nulla della trama, sono non soltanto la dura vita del piccolo studio legale di periferia coinvolto in una causa contro i giganti del diritto e del mondo dei farmaci, ma anche i costi esorbitanti delle class action e delle perizie e consulenze in ambito medico e su larga scala, i delicati rapporti tra etica, lobbying, politica e criminalità, i buoni sentimenti spesso soffocati dalla ricerca del profitto, e le differenze tra il lavoro in un grande studio e la professione legale svolta in ambiti, anche strutturali, più ristretti.
La cosa che, a mio avviso, rende la lettura di questo legal thriller piacevole è che Grisham punta, certo, sui difetti (a volte anche i vizi!) dei suoi protagonisti avvocati, ma lo fa non per deriderli o per giudicarli ma con una leggerezza e un fondo di simpatia che sono, alla fine, manifestazioni d’affetto. Perché nessuno è perfetto, secondo Grisham, né nei grandi studi dove si lavora cento ore a settimana a un milione di dollari l’anno, né nei piccoli studi che inseguono ambulanze, che fanno il “giro” negli ospedali e alle pompe funebri e che sfuggono ai creditori o non rispondono al telefono prima delle otto del mattino perché sanno che, come al solito, è o un funzionario dell’agenzia delle entrate o di una società emittente di carta di credito che si lamenta di uno scoperto.
In questo romanzo il mondo delle grandi firm e quello dei piccoli e dissestati studi convivono (il filo conduttore è, proprio, il protagonista, che una mattina si reca al lavoro nel “super studio legale” ma ha una crisi, esce, si ferma in un bar e decide, poi di cambiare vita); Grisham, sia chiaro, non risparmia nessuno, sia come critiche sia come descrizione delle peggiori abitudini del sistema legale statunitense. Riesce, però, a farlo senza mai perdere il senso (e il filo) narrativo, descrivendo in profondità i personaggi e garantendo anche un certo rigore sugli istituti processuali e sulle questioni giuridiche.
Un cocktail ideale, insomma, proprio come il Bloody Mary di Abner che, nelle pagine iniziali, aiuta la “transizione” del protagonista da una vita professionale all’altra.
Scrivi un commento
Accedi per poter inserire un commento