Governare l’economia 4.0: innovazione, occupazione e produttività

Redazione 03/05/19
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Nell’ultimo decennio la maggiore integrazione dei mercati, nonché i processi di ristrutturazione dell’industria, hanno spinto la partecipazione di molte imprese europee a catene globali del valore, delocalizzando fasi produttive in paesi emergenti nei settori ad intenso utilizzo della mano d’opera, con conseguente riduzione della quota del lavoro nei comparti labor intensive. Questo processo di delocalizzazione, o offshoring, nei prossimi anni potrebbe vedere una inversione di tendenza attraverso un rimpatrio anche parziale della produzione, o reshoring.

ECONOMIA 4.0: DELOCALIZZAZIONE E CATENE GLOBALI DEL VALORE

Il subentro delle tecnologie d’avanguardia, e della crescente produttività che ne consegue, potrebbe infatti attivare un processo opposto, attraverso il rientro di fasi produttive e il riposizionamento verso produzioni innovative e di qualità, che auspicherebbe una forte ripresa della crescita e dell’occupazione. Le imprese che fanno reshoring, infatti, sono mediamente più aperte al cambiamento tecnologico, all’ innovazione, all’introduzione di nuovi modelli organizzativi e nuove figure professionali.

Nel rapporto AT Kerney 2017 “Global Services Location Index“, viene delineato uno scenario in cui l’utilizzo delle tecnologie 4.0 e la diffusione delle competenze digitali consentiranno di porre fine alla delocalizzazione industriale e la trasformazione digitale favorirà il ritorno nei Paesi occidentali dei processi produttivi. Secondo AT Kerney  i 10 Paesi dove le grandi imprese e le industrie dei Paesi più ricchi hanno delocalizzato maggiormente sono India, Cina, Malesia, Indonesia, Brasile, Vietnam, Filippine, Thailandia, Cile e Colombia.

“Economia 4.0: big data e nuove opportunità di lavoro”

L’automazione industriale 4.0 potrebbe ora rovesciare tutto e mettere in discussione addirittura i progressi fatti dai Paesi emergenti negli ultimi 20 anni. Non solo per effetto dei grandi risparmi offerti dalle tecnologie 4.0, ma per avvicinare le produzioni alla casa madre, per il controllo di qualità, e a causa del costo del lavoro in crescita anche nei Paesi finora più poveri. È il processo produttivo del reshoring, cioè del rimpatrio di quelle imprese o attività produttive precedentemente delocalizzate.

La trasformazione digitale a livello globale porterà ad un forte aumento della domanda di nuove figure professionali con skills elevati. Quindi l’automazione tecnologica non distruggerà il lavoro, ma comporterà un innalzamento della competenze e l’individuazione di nuove professioni, che ad oggi riguardano davvero una bassa percentuale di occupati.

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ECONOMIA 4.0: INNOVAZIONE, OCCUPAZIONE E PRODUTTIVITA’

L’innovazione può avere però anche effetti contrastanti sull’occupazione: se da un lato può incentivare un rimpatrio di realtà produttive, grazie alla presenza di start up e di tecnologie innovative, dall’altro può ridurla a causa dell’aumento della produttività del lavoro. Il presente lavoro esamina i cambiamenti del rapporto tra produttività legata all’innovazione e crescita dell’occupazione nel corso dell’ultimo decennio.

Negli anni passati il progresso tecnologico e la globalizzazione hanno spinto la partecipazione di molte industrie a catene globali del valore delocalizzando fasi produttive nei settori ad intenso utilizzo della mano d’opera, con l’effetto di ridurre la quota del lavoro nei comparti il cui prodotto è oggetto di scambi commerciali (Tradable sectors), in particolare nei comparti labor intensive a vantaggio di quelli skill intensive. Questo processo di delocalizzazione, o offshoring, intrapreso da alcuni settori industriali (come i Tradable sectors) verso paesi emergenti, nei prossimi anni potrebbe vedere una inversione di tendenza attraverso un rimpatrio, anche parziale, della produzione, o reshoring, per effetto del rapido avanzare delle nuove tecnologie digitali e della robotica, in un nuovo ecosistema di startup e Pmi innovative.

“Economia 4.0: competitività e data economy”

In particolare l’economia europea è stata analizzata secondo la triplice prospettiva dei trend dell’occupazione, del valore aggiunto e del valore aggiunto per occupato, distinguendo tra l’apporto dato dal settore di beni e servizi non commerciabili internazionalmente (Non Tradable) e quello dato del settore di beni commerciabili internazionalmente (Tradable) (cft la pubblicazione Governare l’economia 4.0, Maggioli editore, 2017).

Questi indicatori elaborati per paese europeo consentono di analizzare l’evoluzione dell’industria europea neI settori Tradable, sulla base della classificazione settoriale utilizzata nello studio “The evolving structure of the American Economy and the Employment Challenge” (2011), di M.Spence e S. Hlatshwayo. In sintesi i settori Tradable includono l’estrazione minerali, il manifatturiero e i servizi IT, mentre i settori Non Tradable comprendono il commercio, i trasporti, le costruzioni, le utilities e i servizi immobiliari.

L’analisi mette in evidenza come nei principali paesi europei i settori manifatturieri con una catena lunga del valore abbiano, nell’ultimo decennio, spostato all’esterno le fasi produttive a basso valore aggiunto (labor intensive) a vantaggio di quelle ad alto valore aggiunto (skill intensive), con una conseguente riduzione dell’occupazione e ad un incremento della produttività nei Tradable sectors, e in particolare in settori manifatturieri ad alta tecnologia.

Graf.1 Andamento di occupazione e produttività nei Tradable sectors

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Fonte: elaborazione su dati Commissione Europea-Eurostat

L’occupazione è stata in parte assorbita dai settori dei servizi, incidendo soprattutto su un incremento della spesa pubblica non più sostenibile. Infatti emerge che nel periodo considerato, dal 2008 al 2017 (su dati e stime European Commission, Annual report on European SMEs), nell’UE28 si creano in totale 665 mila di posti di lavoro, e tale incremento è stato il risultato di:

  • un forte aumento degli occupati, circa 2,4 milioni (con una variazione del 2,6%), assorbito dai settori dei beni e servizi non commerciabili internazionalmente (Non Tradable),
  • una riduzione dell’occupazione, pari a circa 1,8 milioni di occupati (con una flessione del 3,8%), nel settore di beni commerciabili internazionalmente (Tradable).

In Italia si registra dal 2008 al 2017 una diminuzione di 1,9 milioni di occupati:

  • 1 milione di occupati nei settori Non Tradable;
  • 943 mila occupati nei settori Tradable (e tra il 2016-2017 si rilevano circa -85 mila occupati).

Per quanto riguarda il valore aggiunto per occupato, ovvero la produttività del lavoro, è cresciuta dal 2008 al 2017 sia nei settori Tradable, sia nei settori Non Tradable in cui l’occupazione è mediamente aumentata. In generale, si osserva che il valore aggiunto per occupato è cresciuto per i beni commerciabili in maniera molto maggiore rispetto a quanto abbia fatto per i beni non commerciabili. Nell’UE28 è cresciuto del 17,3%, raggiungendo nei settori Tradable il 19,8%, e nei Non Tradable il 16,6%. In Italia il valore aggiunto per occupato in Italia è cresciuto del 10,3%, e in particolare nei settori Tradable cresce dell’11,8%, nei Non Tradable del 10,4% (dati disponibili su BlogDataOfficer).

Graf.2 Variazione dell’occupazione e della produttività nei principali paesi europei

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Fonte: elaborazione su dati Commissione Europea-Eurostat

ECONOMIA 4.0: ANALISI DEGLI INVESTIMENTI

La ripresa dell’occupazione e della crescita economica passa attraverso una nuova fase di reindustrializzazione. L’industria ha un effetto trainante importante per gli altri ambiti dell’economia. La chiave per trattenere e far rientrare fasi produttive è il riposizionamento verso produzioni complesse e di qualità, per le quali sono importanti: l’innovazione, il legame con il territorio, il controllo dell’intero ciclo produttivo e un contesto più favorevole agli investimenti.

Un ecosistema produttivo riuscirà a rafforzarsi e ad essere sempre più competitivo se le imprese investiranno in nuovi prodotti e servizi utilizzando tecnologie digitali. I settori economici in grado di accelerare il processo di trasformazione digitale attraverso investimenti crescenti nelle tecnologie digitali sono riconducibili in particolare alla manifattura high tech – medium high tech, ed ai servizi high tech knowledge intensive.

L’analisi degli investimenti a livello settoriale nel periodo 2008-2015 basata su un’elaborazione dei dati, diffusi da Eurostat, del manifatturiero europeo per livello tecnologico, nel confronto Italia e Germania mostra che gli investimenti:

  • in Italia sono diminuiti del 30,9% nella manifattura, del 24,5% nell’hitech e in modo più marcato del 34,3% nel lowtech
  • in Germania invece registrano una lieve diminuzione dello 0,8% nella manifattura, dell’1% nell’hitech e dello 0,7% nel lowtech.

La capacità di investire nelle nuove tecnologie e nel capitale umano specializzato rappresenta la differenza in termini di competitività e le misure messe in atto per sostenere tali investimenti possono avere un effetto espansivo superiore a quello previsto.

La trasformazione digitale in atto è un processo irreversibile che sta disegnando una inversione di tendenza nel processo produttivo, attraverso un rimpatrio, anche parziale, della produzione, o reshoring. I nuovi modelli di business dell’ecosistema digitale costituto da Pmi e startup innovative saranno sempre più internet-oriented, grazie alla diffusione di piattaforme tecnologiche low cost, ai big data, alla robotica e a nuove competenze professionali.

Da un punto di vista produttivo, l’automazione tecnologica genererà notevoli vantaggi in termini di produttività e competitività, comporterà la generazione di nuove figure professionali, il che richiederà però un forte cambiamento organizzativo, una crescente integrazione dei macchinari nel processo produttivo, ricorrendo ad un mix uomo-macchina e a nuove competenze e conoscenza delle tecnologie.

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