Giustizia Civile: intervista all’avvocato Cuonzo

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Il tema della Giustizia Civile  è al centro del dibattito in queste ultime settimane, grazie alla recente pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della Legge 162/2014 sul processo civile e al nuovo rapporto del Ministero della Giustizia sui numeri della Giustizia Civile.

Per approfondire il tema abbiamo intervistato l’Avvocato Gabriel Cuonzo – Managing partner dello Studio legale Trevisan & Cuonzo, per porre l’accento sulla necessità di riformare alcuni aspetti della Giustizia Civile anche in virtù dell’esigenza di rafforzare la competitività dell’Italia, migliorando così la percezione della Giustizia Civile italiana nel mondo del business globale, che scoraggia gli investimenti nel nostro Paese.

Avvocato Cuonzo, ci può fare un piccolo compendio del perché una causa civile in Italia duri‘secoli’ rispetto ai tempi di alcuni tribunali esteri?

La prima ragione è che vi sono troppe cause. Ogni anno vengono aperti 4,5 milioni di procedimenti e altrettanti ne vengono definiti. La seconda è l’insufficienza della macchina amministrativa della giustizia (poche risorse mal utilizzate). La terza è la convinzione sbagliata che la giustizia debba essere un servizio a costo zero per gli utenti. Bisogna però distinguere: la durata media dei processi civili in alcuni tribunali, specialmente del nord Italia, è molto inferiore alla media. Dovremmo però parlare, oltre che di durata, anche di qualità complessiva della giustizia: per ottenere una migliore qualità occorre ridurre questa massa di procedimenti che ne ingolfa la macchina. Questo è difficile, perché una riduzione del contenzioso colpirebbe inevitabilmente il ceto forense, che quindi si oppone.

Una delle strade ipotizzate dal Governo per ridurre il contenzioso è lo stimolo della mediazione: non si rischia di ingolfare allo stesso modo il sistema?

Non credo molto nella mediazione, che è già stata sperimentata nel passato senza grande successo. La soluzione più efficace deve essere economica. Bisogna scoraggiare le liti futili e temerarie condannando la parte che perde la causa al pagamento delle spese effettivamente sostenute dal vincitore.

Perché, a suo avviso, il rafforzamento dei tribunali delle imprese può essere una soluzione?

Il governo deve fare una scelta forte e selettiva, che dia la priorità ai tribunali di impresa, che oggi non dispongono di risorse umane e materiali sufficienti per garantire l’alta qualità richiesta dalle grandi e medie imprese globali. Bisogna destinare risorse ai tribunali delle imprese nei centri più importanti del business italiano (Milano, Roma e Torino) per farli diventare centri di eccellenza e quindi modello da seguire per il resto della giustizia civile. I tribunali di impresa sono uno dei benchmark su cui si valuta la competitività di un paese. D’altra parte un forte investimento di risorse in quest’ambito è indispensabileanche in virtù del fatto che lo schema di legge delega proposto in questi mesi dal Governo attribuisce a questi tribunalinuove importanti competenzecome le controversie in materia di appalti e antitrust. Senza un potenziamento degli organici e un miglioramento delle infrastrutture, i tribunali d’impresa rischiano di naufragare sul nascere. Facciamo un paragone con le ferrovie: il tribunale d’impresa potrebbe essere paragonato ad un treno ad Alta Velocità, che non solo è più veloce degli altri, ma assicura anche un servizio complessivamente di alto livello.

Lei parla della giustizia civile italiana come di uno shock per gli interlocutori stranieri. Senza fare nomi, ci può riferire un aneddoto sulle loro impressioni?

Il gap tra i tribunali d’impresa italiani e quelli europei è purtroppo molto importante. È soprattutto una questione di qualità percepita dagli “utenti”. Il divarionon è solonella velocità di conclusione dei procedimenti (a Düsseldorf si arriva ad una sentenza nel giro di 8 mesi, a Londra in un anno circa), ma anche negli aspetti organizzativi e formali che rendono i nostri tribunali poco “business friendly”. Le nostre strutture non sono adeguate: le udienze, spesso sbrigative, non si svolgono in un’aula, ma nella stanza del giudice; mancano le moderne tecnologie per la traduzione simultanea; non esiste un format preferenziale per la stesura degli atti; le prove testimoniali non sono videoregistrate; il giudice non ha l’assistenza di un cancelliere e spesso redige il verbale di udienza sul suo PC, cosa impensabile in altre giurisdizioni.Posso dire che la maggior parte dei clienti stranieri è molto colpita proprio dallo stile eccessivamente informale delle nostre udienze,così diverso dal resto delle maggiori economie occidentali.

Collegandoci al suo paragone con l’Alta Velocità ferroviaria, quali sono gli ostacoli che si potrebbero incontrare in un percorso che vada in tale direzione per la giustizia civile?

L’ostacolo più grande è di natura ideologica ed è rappresentato dall’obiezione mossa da giudici e avvocati, che non ritengono equa la presenza di una giustizia a due velocità: una per gli imprenditori e l’altra per le persone “normali”. Tuttavia, questo è un falso argomento. Se vogliamo attirare investimenti dobbiamo creare infrastrutture amministrative e giudiziarie di qualità elevata. Oggi gli investimenti consistono di assets immateriali (in primis proprietà intellettuale) molto sensibili alla qualità della giurisdizione, vista l’importanza economica e la frequenza dei conflitti. Quindi non ha senso trattare la piccola causa di condominio alla stregua di una controversia su marchi o know-how tra multinazionali. È poi giusto che ad un servizio di alta qualità corrispondano tariffe più alte, che i nostri clienti sarebbero lieti di pagare. L’ostilità verso la giustizia a due velocità è simile a quella incontrata dall’Alta Velocità ferroviaria: oggi è però chiaro che quella scelta era indispensabile ed ha rivoluzionato le ferrovie italiane che erano tra le peggiori d’Europa. Tra l’altro,credo che i costi per creare “supertribunali” d’impresa (in pochi centri) sarebbero modesti (qualche decina di milioni) rispetto ai vantaggi economici che apporterebbero.

Quali sarebbero i vantaggi del ‘case management’, da lei citato come strumento strategico?

Il “case management” è fondamentale perché consente al giudice di programmare con gli avvocati le attività necessarie all’istruzione della causa con l’effetto di ridurre i tempi e aumentare la qualità del processo. Naturalmente, occorre che il giudice abbia già letto le carte e maturato un’idea di ciò che dovrà essere fatto. È uno strumento del tutto comune in molti ordinamenti tra cui gli USA.

 

Intervista a cura di Paola Zarzaca

Gabriele Cuonzo

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