Due sorelle, escluse dall’eredità del padre, che nel testamento ha lasciato la proprietà dei suoi beni immobili e mobili ai figli maschi e alla moglie l’usufrutto generale sugli stessi, si rivolgono al Tribunale per chiedere la modifica delle disposizioni testamentarie e la loro reintegrazione nella porzione di eredità che la legge riserva ai figli, chiamata “quota di legittima”.
In particolare, le figlie del defunto chiedono:
1) che venga ridotta sia la parte di eredità assegnata ai fratelli sia l’usufrutto concesso alla madre;
2) che venga determinata la quota spettante a ciascuna, con l’assegnazione di tali beni “in natura”, non in denaro, nonché gli interessi derivati da tali beni fino alla apertura della successione;
3) che venga trascritta la loro quota di proprietà nei Registri immobiliari.
Per primo il Tribunale, e in seguito la Corte d’Appello, respingono le richieste concedendo loro solo il valore in denaro corrispondente ai beni in natura che avrebbero dovuto percepire, negando sia i frutti e che la trascrizione nei pubblici registri.
Di conseguenza, le sorelle si rivolgono alla Corte di cassazione, che accoglie quasi integralmente le loro richieste e chiarisce che:
– l’ordinamento giuridico prevede, a tutela dell’interesse generale alla solidarietà familiare, che i congiunti più stretti del defunto hanno diritto di ottenere una parte del valore del patrimonio ereditario e dei beni anche contro la sua volontà;
– si tratta, sostanzialmente, di una “successione necessaria”, in virtù della quale le disposizioni del defunto, se ledono la quota di legittima, possono essere private della loro efficacia;
– oltre alla quota di legittima esiste, ovviamente, la quota disponibile, di cui il defunto può disporre liberamente;
– ciò premesso, l’erede che chiede la reintegrazione della quota di legittima ha diritto di ricevere i suoi beni in natura, e non può essere obbligato a ricevere la sua quota in denaro:
– quindi, il Tribunale e la Corte d’Appello non avrebbero dovuto riconoscere validità alla scrittura privata stipulata tra il defunto, quando era ancora in vita, e le sue figlie, con cui queste ultime hanno accettato una somma di denaro per non avanzare future pretese sull’eredità, perché patti del genere sono vietati dalla legge;
– infine, non c’è dubbio che, risultando proprietarie di una quota dei beni ereditari del defunto, le sorelle abbiano diritto alla trascrizione di tale titolo di proprietà nei registri immobiliari.