Le tipologie disfunzionali che entrano a far parte della categoria classificata come ‘danno’ sono due: quella biologica, coincidente nella lesione dell’integrità psicofisica del soggetto danneggiato (quale infermità), e quella esistenziale rappresentata dall’adulterazione delle pratiche abituali, dei rapporti e delle modalità di vita. Il danno cagionato dalla prestazione lavorativa prolungata ed incessante, sette giorni su sette compresi i giorni feriali, rientra nella sfera della disfunzione di tipo esistenziale. L’organo giudicante lo ha dedotto oltre che dall’esperienza, dalle contingenze concrete e dalla tipologia di funzione svolta dal dipendente pubblico tramite il sistema delle cosiddette presunzioni semplici, e cioè istantaneamente riconoscibili. Dall’esecuzione di mansioni implicanti un alto livello di meticolosità, come ad esempio quelle svolte da macchinisti preposti alla guida di treni, deficitari di pause di riposo compensativo in maniera sistematica per un periodo decennale, il giudice ha dedotto la sussistenza del danno esistenziale.
Quest’ultimo consiste nella delineazione di una situazione patologica di stress causata dal negato recupero delle energie psicofisiche. Il legittimo diritto al riposo settimanale e compensativo, considerato irrinunciabile dall’articolo 36 del Testo costituzionale, è infatti specificatamente previsto per permettere al lavoratore l’equilibrio o eventualmente la ristabilizzazione delle rispettive capacità psicofisiche e per svolgere altresì attività che siano espressive della propria personalità. Dieci anni (dalla più remota festività non goduta) rappresentano il periodo massimo entro il quale, come stabilito in sentenza, il dipendente pubblico ha diritto ad agire ai fini di compensare tale danno, dal momento che lo stesso trae origine inequivocabilmente dall’inadempienza del contratto di lavoro da parte della pubblica amministrazione.
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