Conflitto Napolitano – Procura. Oggi l’udienza in Corte Costituzionale

Redazione 04/12/12
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Si svolgerà oggi l’udienza in Corte Costituzionale per la risoluzione del conflitto sollevato dal Quirinale per le intercettazioni disposte dalla Procura di Palermo che lo hanno coinvolto. Un coinvolgimento indiretto e occasionale, visto che i telefoni sotto controllo erano quelli dell’ex ministro Nicola Mancino, ora imputato di falsa testimonianza nel processo palermitano sulla presunta trattativa Stato-mafia.

Quattro le telefonate tra Mancino e Napolitano che sono state captate e non distrutte; e il presidente della Repubblica, di conseguenza, attraverso un ricorso dell’Avvocatura dello Stato, si è rivolto alla Consulta, ritenendo lese le proprie prerogative costituzionali.

Ritenuto ammissibile il conflitto, e dopo la decisione della Procura di costituirsi in giudizio, sia l’Avvocatura sia i legali dei pm hanno depositato proprie memorie. Oggi l’udienza pubblica di fronte ai giudici costituzionali. I giudici relatori saranno Silvestri e Frigo. Gli avvocati, per il Presidente della Repubblica: Michele Giuseppe DIPACE, Antonio PALATIELLO, Gabriella PALMIERI; per il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Palermo: Alessandro PACE, Mario SERIO e Giovanni SERGES.

Diverse le ipotesi sui tempi e sulla decisione del ricorso. Nel caso in cui venisse accolta la tesi del Colle, la Consulta potrebbe disporre la distruzione delle intercettazioni, stabilendo che non spettava alla Procura omettere questo passaggio. Soluzione opposta se accogliesse la tesi dei pm di Palermo, che hanno sempre sostenuto che non spetta al magistrato inquirente decidere se distruggere o meno un’intercettazione, ma a un giudice, dopo un’udienza con il contraddittorio tra le parti. Questo per consentire alle parti stesse e ai loro legali di acquisire materiali ritenuti utile alla causa.

Nella prima ipotesi, una delle fonti normative che potrebbero essere richiamate è l’articolo 271 del codice di procedura penale sulle intercettazioni vietate – per esempio dell’avvocato o del confessore – di cui il giudice dispone la distruzione salvo che non costituiscano corpo del reato.

La Corte ha di fronte anche un’altra possibilità: «Potrebbe sollevare di fronte a sé stessa – spiega il presidente emerito della Consulta, Pier Alberto Capotosti – questione di legittimità costituzionale su una delle norme interessate dal conflitto, in questo caso presumibilmente uno degli articoli del codice di procedura penale su cui ruota la discussione e relativo alle intercettazioni», nella parte in cui non prevede che eventuali intercettazioni del presidente della Repubblica siano distrutte. «In questo caso, però – osserva Capotosti – bisogna dare il tempo alle due parti di presentare nuove memorie e poi bisogna fissare una nuova udienza pubblica. Questo comporterebbe uno slittamento notevole dei tempi».

Il giurista esclude anche che la Corte possa richiedere nuovi atti per approfondire l’esame: «Lo escludo sia per ragioni di ordine generale che sistematico. Gli accertamenti istruttori precedono di regola l’udienza pubblica: fissata l’udienza, la Corte decide in base alle memorie presentate e alla discussione che emerge in udienza. Quindi ritengo che anche per questo caso, i dati saranno quelli contenuti negli atti depositati e quelli che emergeranno nella discussione del 4 dicembre e su questa base la Corte deciderà. L’unica possibilità che non decida il 4 o subito dopo, si ha nell’ipotesi che decida di sollevare di fronte a sé stessa dubbio di legittimità. Ma le probabilità che si segua questa strada, utilizzata raramente, ritengo siano basse: non la si può escludere, ma non penso sia molto probabile, diciamo che ci sono un terzo di probabilità che si scelga quest’opzione contro il 66% che ci sia una decisione subito».

Altro aspetto da considerare è che il mandato del presidente della Consulta, Alfonso Quaranta, scade a fine gennaio: la Corte deve decidere nella stessa composizione con cui si è presentata all’udienza pubblica, quindi con quei 15 giudici e quel presidente.

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