Canone di concessione: pochi dubbi sul confine tra giurisdizione amministrativa e ordinaria

Michele Nico 25/09/14
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Il contenzioso inerente alla revisione del canone dovuto per la concessione del servizio di raccolta, trasporto e smaltimento dei rifiuti solidi urbani rientra nella sfera di giurisdizione del giudice ordinario.

Questo il principio ribadito dalla Corte di Cassazione, Sezioni unite civili, con sentenza 29 maggio 2014, n. 12063, sulla base dell’assunto – conforme a un orientamento ormai consolidato in materia – che le controversie concernenti indennità, canoni o altri corrispettivi si caratterizzano per un contenuto meramente patrimoniale, in cui non viene in rilievo l’esercizio del potere della Pubblica amministrazione a tutela di interessi generali.

Qualora, invece, la controversia presupponga la verifica dell’azione autoritativa della PA nell’esercizio di poteri discrezionali di cui essa gode nella determinazione di indennità, canoni o altri corrispettivi, la giurisdizione spetta al giudice amministrativo (Corte di Cassazione, SS.UU., sentenze n. 27333/2008 e n. 20939/2011).

Seguendo il filo di queste argomentazioni, la Suprema Corte a Sezioni unite rigetta il ricorso proposto da una società concessionaria del servizio di igiene ambientale avverso la sentenza del Consiglio di Stato 28 febbraio 2012, n. 1159, con cui l’organo amministrativo annullava la decisione di primo grado – favorevole a detta società – e declinava la giurisdizione in favore del giudice ordinario, trattandosi di una controversia relativa a un obbligo di pagamento a carico del Comune assunto con patti accessivi al rapporto, e, quindi, rientrante nei casi di esclusione della giurisdizione del giudice amministrativo, ai sensi dell’art. 133, comma 1, lett. b, del codice del processo amministrativo.

È interessante notare che il TAR, pronunciandosi in primo grado sulla lite scoppiata tra il Comune e la Società concessionaria del servizio, aveva censurato l’inerzia dell’Ente dinanzi alle reiterate note di richiesta di revisione del canone inviate dal soggetto gestore, per l’aumento dei prezzi verificatosi anno per anno durante il periodo del contratto di servizio.

Nello specifico, il Tribunale amministrativo dichiarava l’illegittimità della norma contenuta nel capitolato speciale de quo, che prevedeva il riconoscimento della revisione solo se eccedente l’alea del 10%.

Tale clausola, ad avviso del TAR, era viziata da nullità assoluta originaria per contrasto con il dettato normativo di cui alla L 537/1993, art. 6, comma 4, come sostituito dall’art. 44, comma 1, della L 724/1994, che in materia di revisione prezzi impone, anche nel caso di diversa pattuizione convenuta tra le parti a mezzo di eventuali clausole difformi, la nullità di queste ultime, a norma dell’art. 1418, comma 1, del codice civile.

Tutte argomentazioni di merito che, come ben si vede, a nulla valgono allorché venga interpellato, per le decisioni del caso, un organo giurisdizionale non competente ratione materiae.

Così accade nella vicenda in esame, come appunto la Corte di Cassazione dimostra, evocando un orientamento giurisdizionale del quale occorre sicuramente tenere conto nella complessa gestione dei rapporti che intercorrono tra Enti locali e concessionari di servizi pubblici.

Michele Nico

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