Allarme Pensioni: ecco perché l’Italia non è un Paese per giovani

Redazione 02/12/15
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Assai negativo è il quadro che si delinea per l’Italia nel rapporto Ocse “Pensions at a glance 2015” dove si evidenziano tutte le criticità del sistema previdenziale italiano.

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Siamo primi al mondo per spesa pensioni; primato detenuto anche per la più alta aliquota contributiva, oltre ai rischi connessi alla tenuta complessiva del sistema, dove gli over 65 continuano ad avere un reddito “relativamente elevato”, pari al 95% della media nazionale, compensato da uno dei livelli più alti di disoccupazione giovanile, al pari di Paesi come Grecia, Spagna e Portogallo.

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E proprio il futuro dei giovani è la questione che più preoccupa l’Ocse nel cui rapporto evidenza che sono molti i lavoratori, soprattutto giovani visti i lunghi periodi trascorsi fuori dal mercato del lavoro, che rischieranno di ricevere trattamenti pensionistici più esigui rispetto a quelli versati oggi, faticando così non poco a riuscire a godere di una vecchiaia dignitosa, soprattutto in un contesto che contempla un sistema contributivo.

Nonostante il Jobs Act dovrebbe garantire “una maggiore stabilità alle carriere lavorative” l’Ocse avverte: “Tempo via dal lavoro significa tempo via dal sistema pensionistico. Sebbene molti Paesi forniscano contributi figurativi durante periodi di disoccupazione, maternità o assenza per malattia, in futuro i trattamenti pensionistici saranno più bassi per molti lavoratori e per i più sfortunati tra i pensionati di domani, ovvero quei giovani che non riescono a entrare nel mercato del lavoro, le prospettive sono ancora più fosche”.

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Dal momento che nel nostro Paese “la sostenibilità finanziaria del sistema pensionistico richiede ulteriori sforzi negli anni a venire”, su parere dell’Ocse nel medio e lungo periodo diventa anche “necessario stimolare la partecipazione dei lavoratori anziani: ad oggi, l’età effettiva di uscita dal mercato del lavoro rimane la 4° più bassa dell’Ocse e il tasso di occupazione per i lavoratori di età tra i 60 e i 64 anni è pari a circa il 26%, contro il 45% in media dell’Ocse. Eppure – continua il rapporto dell’organizzazione parigina – molti pensionati oggi ricevono prestazioni pensionistiche relativamente generose nonostante un basso livello di contributi versati”.

Nel nostro Paese, infatti, l’età minima per godere di un trattamento pensionistico-base è pari a 66,3 anni per gli uomini e 62,3 anni per le donne, con il dato riguardante gli uomini che supera la media Ocse (64,7 anni) mentre quello sulle donne che rimane più basso (63,5 anni).

Chi viene maggiormente penalizzato dal sistema pensionistico sono proprio le donne, o meglio le mamme. Come rileva l’Ocse infatti è l’Italia, scortata da Germania, Islanda e Portogallo, lo Stato europeo dove accade che una donna, trascorsi 5 anni fuori dal mercato del lavoro per occuparsi dei figli, una volta in pensione può arrivare a subire le ripercussioni più pesanti in termini di contrazione dell’assegno, mentre in almeno un terzo dei Paesi Ocse una tipologia di “aspettativa” quinquennale non comporterebbe alcune effetto sul trattamento pensionistico futuro.

A compensare, tuttavia, l’Ocse sottolinea che l’Italia è tra i pochi Paesi a concedere contributi figurativi per soggetti con figli a carico, anche nel caso in cui non venga interrotta l’attività lavorativa. In tema di contributi previdenziali sul lavoro dipendente, inoltre, dal rapporto Ocse emerge che in Italia al 33% sulla retribuzione slittano in vetta rispetto agli altri Stati Ocse: il 23,81% per l’impresa, il 9,19% su lavoratore. Contributi obbligatori troppo elevati “possono abbassare l’occupazione complessiva e aumentare il sommerso”, ammonisce l’Ocse.

Passando alla spesa pubblica per la previdenza nel 2013 in Italia raggiungeva il 15,7% del Pil, la più alta, seconda soltanto alla Grecia tra i Paesi dell’organizzazione. Sono poi subentrate, con la riforma del 2011, “importanti misure per ridurre la generosità del sistema, in particolare attraverso l’aumento dell’età pensionabile e la sua perequazione tra uomini e donne, ma l’invecchiamento della popolazione continuerà ad esercitare pressioni sul finanziamento del sistema”, avverte l’organizzazione.

E’ su questa direzione che si inserisce la sentenza della Corte Costituzionale sul blocco della perequazione delle pensioni oltre 3 volte il minimo (ossia sopra i 1.500 euro al mese) nel 2012-2013 e i rimborsi parziali stabiliti dal Governo “avranno un impatto sostanziale sulla spesa pubblica”.

 

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