Addebito della separazione

Rosalba Vitale 10/02/15
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La tollerda dal latino tolerantia che deriva da tolerare cioè “sopportare, tollerare”, indica la capacità collettiva e individuale di vivere pacificamente con coloro che credono e agiscono in maniera diversa dalla propria.

Nasce come concetto legato alla religione che si sviluppa in seguito alla Riforma protestante dei secoli XVI-XVII.

Attualmente il principio di tolleranza è entrato a far parte della coscienza civile di quasi tutti i popoli del mondo.

Cosi il Consiglio d’Europa in materia religiosa del 1993, recita: «L’importanza universale della libertà religiosa, come esposta nell’Articolo 18 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani e nell’Articolo 9 della Convenzione Europea sui Diritti Umani, deve essere riaffermata. Su questa libertà poggiano le radici della dignità dell’uomo e la sua realizzazione implica la realizzazione di una società libera e democratica».

Tuttavia, nel vivere comune i comportamenti umani spesso non sono improntati al principio di solidarietà ma all’ egoismo indivuale.

Sopratutto, nei rapporti di coppia dove all’amore e alla stima reciproca prendono il sopravvento atteggiamenti prevaricatori.

L’art. 143 c.c. recita “che con il matrimonio il marito e la moglie acquistano gli stessi diritti e assumono gli stessi doveri. Dal matrimonio deriva l’ obbligo reciproco alla fedeltà, all’ assistenza morale e materiale, alla collaborazione nell’ interesse della famiglia e alla coabitazione. Entrambi i coniugi sono tenuti, ciascuno in relazioni alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo, a contribuire ai bisogni della famiglia”.

Analizzando, con occhio attento il significato che il legislatore ha voluto attribuire alla norma, nel disciplinare il rapporti coniugali si può percepire, che il matrimonio trova fondamento nell’accordo e non già nel comando, che anziché unire finisce inevitabilmente per dividere.
Non esiste più la potestà maritale, ma solo la potestà sui figli esercitata di comune accordo da entrambi i genitori.

In particolare, la norma sancisce:

a) obbligo alla fedeltà, intesa come l’ impegno gravante su ciascun coniuge, di non tradire il rapporto di dedizione fisica e spirituale tra i coniugi in costanza di matrimonio (Cass. 7/9/99 n. 9472)

b) obbligo di assistenza e collaborazione inteso come conforto e aiuto spirituale, alla realizzazione sul piano fisico e morale del coniuge;

c) obbligo di coabitazione, intesa come convivenza, condivisione dello spazio fisico e sessuale-affettivo-emotivo-relazionale;

d) obbligo di contribuzione, quale estrinsecazione contreta, sia del dovere di assistenza morale e materiale sia di quello di collaborazione;

La loro violazione comporta effetti sanzionatori, sia sul piano civile che penale, con la possibilità di chiedere la separazione con addebito a carico dell’ altro coniuge.

I doveri particolarmente protetti dall’ordinamento, attraverso il sistema sanzionatorio sono quelli di assistenza, sia morale che materiale.

Sugli altri doveri, quali quello di fedeltà, di coabitazione, di collaborazione, gli effetti repressivi si attenuano o mancano addirittura, in specie sul piano penale.

Premesso ciò, la Cassazione con sentenza n. 753 del 19 gennaio 2015, confermava la sentenza della Corte d’ Appello di Trento, che il marito aveva impugnato relativa all’addebito della separazione.

Secondo il soccombente, mancava la rilevanza causale delle condotte contestate rispetto all’intollerabilità della prosecuzione della convivenza, avvenute in epoca successiva al manifestarsi della crisi coniugale e alla stessa decisione della donna di separarsi, nonché la valutazione della sua condotta quale “marito e padre presente e attento alle esigenze della famiglia e dei figli”.

A giudizio della Suprema Corte l’aver limitato, con carattere autoritario e intollerante, “la libertà di decisione della moglie” e qualsiasi contestazione, “al punto che, ai tentativi della donna di esprimere la propria opinione, egli reagiva con offese, attacchi d’ira e violenza, tenendo un comportamento che, nonostante la terapia di coppia cui i due coniugi si erano sottoposti, non aveva voluto mutare” costituiscono indice di comportamento prevaricatore del ricorrente assolutamente incompatibile con il fondamento comunitario della vita familiare, giacché un atteggiamento unilaterale, sordo alle valutazioni ed alle richieste dell’altro coniuge, eccessivamente rigido, può tradursi, nella violazione dell’obbligo, nei confronti dell’altro coniuge, di concordare l’indirizzo della vita familiare e, in quanto fonte di angoscia e dolore per il medesimo, nella violazione del dovere di assistenza morale e materiale sancito dall’art. 143 c.c.”.

Piace ricordare un pensiero, che racchiude il senso della pacifica tolleranza tra esseri umani: “Dato che non penseremo mai nello stesso modo e vedremo la verità per frammenti e da diversi angoli di visuale, la regola della nostra condotta è la tolleranza reciproca. La coscienza non è la stessa per tutti. Quindi, mentre essa rappresenta una buona guida per la condotta individuale, I’imposizione di questa condotta a tutti sarebbe un’insopportabile interferenza nella libertà di coscienza di ognuno”.
(Mahatma Gandhi)

Rosalba Vitale

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