Nei giorni scorsi, al Ministero delle Imprese e del Made in Italy, si è consumata una frattura significativa tra le associazioni dei consumatori e il sistema assicurativo. Durante l’incontro convocato per esaminare l’aggiornamento dei forfait che regolano il risarcimento diretto, i rappresentanti del Consiglio nazionale consumatori e utenti hanno rifiutato di sottoscrivere la relazione proposta dalle compagnie, un documento che prevedeva l’innalzamento del valore dei forfait del sei per cento. Una protesta che non si limita all’aumento delle somme di compensazione tra imprese, ma che mette in discussione l’intero impianto del risarcimento diretto, un meccanismo introdotto con finalità di semplificazione ma che, negli anni, ha generato effetti molto diversi da quelli annunciati.
Il cuore del problema è proprio il funzionamento di questo forfait. Il sistema Card consente alla compagnia del danneggiato (detta gestionaria) di risarcire direttamente il proprio assicurato, ottenendo poi un rimborso standardizzato presso la cosiddetta “stanza di compensazione” gestita dalla Consap, Concessionaria Servizi Assicurativi Pubblici S.p.A., una società interamente controllata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze.
La stanza di compensazione, per farla più semplice possibile, è un sistema centralizzato creato per evitare scambi continui di richieste e rimborsi tra le compagnie gestionarie e le compagnie dei responsabili effettivi dei sinistri, presso la quale tutte le imprese di assicurazione versano o prelevano le somme a forfait stabilite periodicamente, a seconda del numero dei sinistri attivi e passivi.
Questo rimborso, per come è strutturato (un forfait, appunto) non riflette il costo effettivo dei singoli sinistri, ma un valore medio stabilito annualmente. È un meccanismo che, con il tempo, ha spinto il sistema verso una logica esclusivamente di contenimento dei risarcimenti: ciò che conta per le compagnie non è il valore reale del danno, ma la distanza tra quanto viene effettivamente liquidato al danneggiato e il forfait che verrà recuperato in stanza di compensazione. Più l’importo pagato è inferiore al forfait, maggiore sarà il guadagno per l’impresa, che potrà incassare una somma fissa più alta rispetto a quella materialmente corrisposta al proprio assicurato. Al contrario, quando il danno effettivo supera il valore del forfait, la compagnia subisce un danno economico, perché riceverà comunque solo la cifra standard prevista dal sistema, indipendentemente dalla maggiore entità del risarcimento reale.
Questo sistema, basato su medie statistiche e non su valori effettivi, genera dunque incentivi distorti: da un lato spinge le imprese a riconoscere risarcimenti il più possibile contenuti per massimizzare il margine positivo nei sinistri sotto forfait; dall’altro le induce a ridurre al minimo le liquidazioni nei casi più gravi, per limitare lo scarto negativo tra quanto pagato e quanto recuperabile. Un comportamento difensivo e orientato al bilancio interno, non alla corretta valutazione del sinistro e, men che meno, alla tutela del danneggiato.
Non stupisce, dunque, che le associazioni dei consumatori parlino apertamente di riduzione della trasparenza, di difficoltà crescenti nei controlli e di una gestione pesantemente burocratizzata. Il modello nato per semplificare ha finito per complicare, spingendo gli operatori a concentrarsi più sulla conformità amministrativa che sulla qualità del risarcimento. Il danneggiato, che dovrebbe essere il vero centro del sistema, viene relegato al ruolo di variabile subordinata rispetto ai meccanismi contabili fra imprese. Le compagnie tendono a contenere le valutazioni, soprattutto nei casi più gravi, dove il divario tra il danno effettivo e il forfait recuperabile diventa più ampio, e quindi più costoso da gestire. Al contrario, nei sinistri di lieve entità, il sistema consente addirittura margini di guadagno: liquidare poco e recuperare un forfait più generoso significa trasformare un danno in una voce positiva di bilancio.
A ciò si aggiunge un tema rilevante sul piano della vigilanza e della lotta alle frodi. Paradossalmente, il risarcimento diretto non ha facilitato le verifiche, ma le ha rese più complicate. La compagnia che gestisce il sinistro non ha il controllo del veicolo responsabile, né una relazione diretta con il suo assicurato. La difficoltà di accertamento aumenta e, con essa, l’incertezza, aprendo varchi a comportamenti opportunistici e a zone grigie. Crescerebbe il rischio di frodi, ma aumentano anche i casi borderline, quelli che sfidano la rigidità delle procedure Card e richiederebbero valutazioni più approfondite. Il modello attuale, però, privilegia la rapidità formale rispetto alla qualità sostanziale.
Anche sotto il profilo economico complessivo, il quadro non è rassicurante. Il sistema del risarcimento diretto genera costi amministrativi più elevati rispetto alla gestione tradizionale dei sinistri, senza che questa complessità si traduca in benefici reali per gli assicurati.
Per non parlare, poi, di un’altra stortura gravissima: l’opportunità per l’impresa di assicurazione gestionaria di blindare la fase liquidativa imponendo contrattualmente al proprio assicurato tutta una serie di clausole che limitano la libertà dello stesso di riparare la propria autovettura dove meglio crede o di disporre del proprio credito nei confronti della compagnia, limitazioni che, laddove la compagnia tenuta a risarcire il danno fosse quella di controparte, con la quale ovviamente il danneggiato non può avere alcun rapporto di natura contrattuale, non potrebbero mai essere previste.
Per molti, dunque, è venuto il momento di ripensare il meccanismo alle radici. Non è un caso che le stesse associazioni dei consumatori, oggi unite nella critica, parlino di revisione profonda e di ritorno al sistema chi rompe paga, fondato sulla responsabilità civile pura e sulla relazione diretta tra danneggiato e compagnia del responsabile.
La rottura avvenuta al Mimit potrebbe segnare un punto di svolta. Il fronte dei consumatori ha preso una posizione netta, rifiutando non solo l’aumento dei forfait, ma l’intero impianto su cui questi si basano. Potrebbe essere l’occasione per ripensare radicalmente questo sistema, per magari iniziare a pensare di archiviarlo definitivamente, tornando a un modello più naturale e trasparente in cui il danneggiato dialoga con la compagnia del responsabile. Sarebbe un ritorno alla chiarezza: meno costi, meno ritardi, meno distorsioni e liquidazioni più eque. Un sistema finalmente costruito intorno alla vittima del sinistro e non intorno ai bilanci delle imprese.
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Foto di copertina: istock/RgStudio